Cambiare logo? Attenti potrebbe essere controproducente.

Cambiare logo è comodo. Quando un’azienda è in difficoltà e ambisce a riposizionarsi sul mercato per raggiungere quel successo che ha perso da tempo una delle prime mosse che prova a fare è il cambio di pay-off, tra un’azienda e l’altra ne avrò visti almenouna quindicina. Va bene soprattutto per la comunicazione interna e la visibilità dell’amministratore o del Direttore Marketing che manda all’interanzionale e/o ai dipendenti un bel segnale che qualcosa sta cambiando, ma sta cambiando davvero!

Meglio se il pay-off è in rima baciata o suona come una frase conclusiva di un filme di Bruce Willis.

Tra l’altro io sono praticamente un feticista dei pay-off e credo di essere uno dei pochi al mondo che li legge davvero, ma capitemi, sono un po’ patologico: per me Kotler è più fico di Jim Morrison ;)

Quando ma quando il gioco si fa duro le teste dure iniziano a giocare e rincarano la dose: il payoff non basta più ci vuole un bel re-branding, via il vecchio, anche se lo conosce il 95% della popolazione italiana, svecchiare, svecchiare! E sperem ben.
Ho letto un sito che esprime il proprio punto di vista a riguardo, non credo siano totalmente disinteressati perchè fan questo di lavoro, ma un’occhiata val la pena darla http://www.robilant.it/2010/12/dont-change-your-logo-again/ sparano più o meno a zero su tutti i loghi che han fatto operazioni di redesign che ho rappresentato nell’immagine in testata.

In ogni caso un’operazione di rebranding comporta dei costi enormi per il rifacimento più o meno totale di putni di vendita o di materiale di comunicazione tale per cui difficilmente il ritorno dell’investimento riesce a quadrare, anche perchè, nella immancabile e lunghissima fase di transizione, saltan fuori un sacco di cose (dai gadget ai segnali stradali) a cui non si era pensato.

Con gli stessi soldi si possono fare ben altre cose: reinventare il packaging, inventare un’altro prodotto, fare della comunciazione innovativa etc etc il limite è la fantasia.

Va beh se l’head-quarter d’oltre oceano ci tira il siluro e ci rifila pure un po’ di budget famolo, ma se lo stiamo prendendo in considerazione per gli affari nonstri pensiamoci due volte, un po’ di vintage non ci sta mai male e trasmette fiducia al consumatore, che non fa mai male.

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One Comment

  1. 10 Gennaio 2012
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    Secondo me per poter comprendere meglio il tuo contributo è bene chiarire la differenza tra riposizionamento e rebranding: due operazioni molto diverse tra loro e che, perseguendo obiettivi diversi, dovrebbero essere affrontate in situazioni diverse.

    Una strategia di riposizionamento prevede principalmente la rivisitazione grafica del logo e del wording dell’eventuale payoff. Riposizionare l’immagine di un’azienda ha senso solo quando il marchio è ben consolidato e non vi siano in esso elementi fuorvianti rispetto ai valori fondativi che l’azienda vuole incarnare. In altre parole, non prevede un cambio d’identità, ma attiene a temi quali l’immagine generale e la reputazione.

    Il rebranding invece entra in gioco quando l’identità dell’azienda è divenuta non solo obsoleta (magari per via di una fusione o un’incorporazione all’interno di una company più grande), ma essa genera confusione o addirittura sentimenti negativi nel target di riferimento.

    Quelli che citi nel tuo post sono più casi di riposizionamento piuttosto che di rebranding, e sono perfettamente d’accordo con te che siano spesso frutto di vanità del direttore marketing o dell’AD di turno piuttosto che da una reale necessità.
    Tuttavia essi possono essere molti utili proprio quando l’azienda stia affrontando un processo di rinnovamento più allargato, che preveda ad esempio unarivisitazione della propria offerta prodotto. In qual caso il costo dell’operazione vale assolutamente la pena di esser affrontato.

    Un caso su tutti? Apple ad un certo punto capì che poteva lavorare su apparecchi che migliorassero la vita di tutti coloro i quali comprendessero il valore della tecnologia, e non semplicemente a dei personal computer… il brand “Apple Computers” lasciò il posto a “Apple, Think different”.
    Costruivano computer come prima, come il proprio proncipale competitor dei tempi Compaq, ma erano immediatamente diventati diversi :-)

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