Customer-Journey: la performance è below the line. (2/3)

Un po’ di tempo fa una rubiconda ma giovanile client manager di una nota agenzia mi fece venire un mal di testa colossale confondendo brutalmente il concetto di ATL above-the-line e BTL below-the-line:
– ATL sono di solito Tv, Radio, Giornali, e qualcuno sta iniziando a buttarci dentro anche un certo tipo di pianificazione banner tipo i rich-media nella home dei top 50 portal di un paese.
– BTL Il direct marketing in generale (cartoline, cataloghi, …) e il 90% dell’on-line.

Nel percorso di acquisto diviso per comodità nelle tre fasi tradizionali Branding > Information > Acquisition l’ATL finisce nella prima parte del primo step ed è dove tipicamente la maggior parte degli investimenti sono pianificati in Italia.

Ci si rivolge alla massa con messaggi che colpiscano e che rimangono fine a se stessi. Gli investimenti sono tipicamente:
– misurabili in termini qualitativi tipo: come ho influenzato la percezione che la gente ha di me, la gente si ricorda del mio brand prima o dopo quello del mio competitor,
– acquisibili in termini quantitativi tipo: quante pagine vuoi, quanti etti di GRP mi pigli oggi?

La maggior parte delle aziende fanno la maggior parte delle azioni di marketing e promozione restando sotto alla famosa linea della visibilità, quindi BTL. Quindi Investimenti in ATL quantità di azioni BTL.

Si investe da una parte ma ci si aspetta di ottenere risultati dall’altra, come ci racconta anche BCG nell’ultimo studio sull’evoluzione del mercato retailer da cui traggo quest’ottima immagine.

Il problema è che la maggior parte di chi insegna Marketing, e quindi di chi impara e poi va a lavorare nelle aziende si concentra sull’ATL e finisce r conoscere le logiche ATL mentre passerà la vita dall’altra parte della linea (Il termine deriva dal gergo giornalistico, e indica la maggiore visibilità delle notizie riportate nella metà superiore della prima pagina, cioè sopra la piega (above the line), quando la testata è esposta assieme alle altre in edicola).

E qui si spiega la confusione della rubiconda di cui accenavo all’inizio :P, la linea è sottile e soprattutto sta molto in alto, lasciando scoperta la gran parte del percorso di acquisto che dev’essere morale la maggior parte delle azioni che influenzano il percorso d’acquisto.

La maggior parte delle aziende corporate si sforza moltissimo nella fase iniziale e lasciano scoperto il resto del percorso.
Quando provano a coprire anche gli step successivi lo fanno con sforzi eccessivi e risultati (questa volta misurabili quantitativamente e pianificabili qualitativamente) molto perfettibili perchè operano nel BTL con le logiche dell’ATL.

E le agenzie ci marciano perchè lo sforzo di pianificare il marketing a performance è molto superiore e non lo puoi far fare a uno stagista: devi avere forti profesionalità che i 3/4 di esse non hanno. L’obiettivo della serie di post sul percorso d’acquisto è di è di trasmettere un punto di vista per poter aiutare a valutare se il mix adottato sia o meno adatto ai nostri obiettivi e se le agenzie di cui ci si avvale ci stiano portando a spasso oppure ci aiutino a spostarci efficacemente da un ramo all’altro di tutti i possibili canali dell’internet-marketing.

Man mano che si scende nell’imbuto:

  • ci si approssima all’acquisto
  • quindi il costo del contatto singolo si alza
  • ma si alza drammaticamente anche la probabilità di acquisto
  • quindi non si parla più di volumi di traffico per calcolare il costo di acquisizione ma si calcoal un parroto tra il media spending e la marginalità
  • il mix di canali efficaci sono digitali

Come si vede nella croce (in cui la rappresentazione dell’branding>acquisition è invertita per cui si sale verso l’acquisto) chi spinge sulla comunicazione tradizionale a discapito della pianificazione a performacne rischia di generare tanta domanda che finisce per essere intercettata da operatori non tradizionali, come i pure-player, che si annidano vicino alla fine dell’imbuto: ecco come hanno fatto delle aziende inesistenti a crescere fino a diventare veri e propri competito dei major brand. Ecco anche come mai tante aziende che danno via prodotti a stockisti on-line vedono le proprie vendite calare di mese in mese.

L’imbuto va presidiato tutto.

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2 Comments

  1. 8 Marzo 2012
    Reply

    Se tu dovesse aggiungere un ramo all’albero dell’internet-marketing che riguardi il contact center, lo faresti? e come?
    Grazie Mario

    • 13 Marzo 2012
      Reply

      Ciao Mario,
      secondo me il contact-center più che un ramo dovrebbe essere considerato un’altro albero, vicino vicino, magari con i rami che si intrecciano, ma decisamente un’altro albero.
      Anzi devo dire che mi hai dato uno spunto per uno dei prossimi post in cui mi piacerebbe parlare dell’evoluzione degli strumenti di contact-cetre integrati alle strategie digital.
      Ciao
      Gasp

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