Vuoi fare una Start-up digital di successo? Esci dal garage e inizia a trovare finanziamenti.

Prologo 1: Un po’ di giorni fa ero al bar di un evento Digital dove c’erano diverse vecchie conoscenze , alcuni bravi, altri meno ma con un curriculum sufficiente per essere piazzati in posizioni buone….di quelli per cui il digital e’ tutta comunicazione, che non si sono mai posti il problema di far quadrare un P&L.
Uno di questi salta fuori “Gente ormai ormai i miei ragazzi continuano a chiamarmi e mi dicono STARTUPPIAMO UN’IDEA!! Siamo cosi’ creativi! Vogliamo fare un’agenzia di comunicazione verticale, una specializzata in social ma solo per la reputation e una di ricercheche qua e la … “.
Malditesta agghiacciante.

Prologo 2: Piu’ di un conoscente ha provato a lanciare dei business e-commerce lanciando negozi, servizi o addirittura brand … Dopo qualche mese di attivita’ Ta-ta-Daaaaa non sono riusciti a fare i milioni di fatturato che avevano piano.
Allora gli fai la domanda di rito, da pragmatico consulente che qualche volta ha fatto progeteti che son andati a buon fine, “ma quanti soldi hai investito nel progetto per riuscire ad acquisire il numero sufficiente di clienti per il fatturato?
Sai se vuoi fare 5 milioni, non ti conosce nessuno per cui devi spiegare alla gente che esisti e li devi convincere a venire sul tuo sito, il conversion rate medio e’ l’1% il calcolo e’ semplice, devi spendere un botto di soldi.
Alla fine la strategia per fare un progetto di e-commerce o più latamente digital di successo è sempre la stessa e non ti ci sottrai nemmeno se sei una start-up, anzi sarebbe il caso di dire tantomeno se sei una start-up.
strategia e-commerce di successo traffico conversione marginalità

Naturalmente nessuno di loro ha fatto calcoli similie hanno startuppato preda dell’ottimismo, tanto è una buona idea e poi a diventar famosi che ce vo’ …
Doppio malditesta col fiocco.

Di gente creativa in giro ce n’è sempre stata un sacco ma ultimamente si sta moltiplicando incentivata da un agghiacciante decreto “digitalia” che favorisce la creazione di start-up con compagini improbabili che, invece di favorire fattibilità e competenze, ambiscono a usare il digital come leva sociale. Come se essere donna, del sud o aver vinto un dottorato potesse proteggere dalla banca rotta.
Ma, ahinoi, non sempre sono le brave persone a vendere…

Tutti che startuppano a caso rapiti dall’idea romantica che basti essere in quattro in un garage con una bella idea e tanta voglia di fare, dimenticando che una bolla delle .COM c’e’ gia’ stata ed e’ gia’ scoppiata malamente, e per quale motivo adesso dovrebbe essere diverso?
Guardate la bella info-graphics in testata, guardate per stream, per settore di mercato, quanti ce la fanno rispetto a quanti ci provano.

Volete sapere qual’è la sottile linea rossa che discrimina gli sforzi e i risultati?

Qualche giorno dopo alla conversazione degli startuppisti ho visto un post di un amico, Umberto, che, dopo aver lasciato una delle prime agenzie d’Italia con un manipolo di geniali eroi condotti da una delle menti piu’ brillanti del performance, ha startuppato davvero aprendo un’altra piccola agenzia che adesso è diventata una delle più grandi del paese.
E anche a lui gli son girati i maroni e ha detto:
Basta. Davvero, basta…
Sarà per il lavoro che faccio, sarà per il settore in cui opero, ma ovunque mi giri trovo individui più o meno giovani, e soprattutto più o meno preparati e più o meno coscienti dei termini con cui si appellano, che si dichiarano startupper.
Ora, chi mi conosce bene sa quanto io abbia sempre sostenuto la tesi per cui chi vuole un lavoro gratificante oggi faccia meglio a crearselo piuttosto che cercarlo secondo modalità tradizionali. Ma qui si esagera…
Ok c’è la crisi, e bisogna pur raccontare qualche buona notizia sui giornali. Lo capisco. Ma mai come oggi i media trattano con toni sensazionalistici il rifiorire (ma poi perchè il ri-fiorire? Era sfiorito?) dello startupping italiano. L’editoria digitale è poi meravigliosamente prolifica di articoli che sembrano usciti da un incrocio malriuscito tra rivistucole come Capital e Men’s Health con titoli tipo: “i 3 segreti per creare una startup di successo”. Un po’ come avere addominali scolpiti in una settimana…
Oggi tutti i giovani (si fa per dire, parliamo di gente sotto i 40) che programmano un’app che non scarica nemmeno la propria madre si sentono startupper. Ma che dico? Anche quelli che hanno aperto da un mese una partita IVA si professano tali. L’altra sera esco con amici di amici e ad un certo punto uno dice:” sto lanciando la mia startup…” Incuriosito ho chiesto di cosa di trattasse. Mi sono sentito rispondere: “non è chiaro ancora, ma faremo roba tecnologica”. Apperò che business idea, quasi quasi ti chiedo una quota e ti finanzio :-/
Forse bisognerebbe iniziare a spiegare ai più giovani, e ricordare ai meno giovani, qualche principio di base:

1. lo startupping, anzi la creazione di una nuova impresa detta all’italiana, è da sempre alla base del tessuto economico del nostro paese. Il 70% del pil italiano è generato dalla piccola media imprenditoria. Da sempre, non da quando è uscito nelle sale il film “the social network”. Per cui basta pensare che fare impresa sia “nuovo” e sopratutto fico… È invece molto duro.

2. Una nuova impresa necessita di asset quali capitali, competenze esclusive nonchè, in un paese come il nostro ahimè, di una buona rete di relazioni e connessioni con il sistema bancario ed il tessuto imprenditoriale preesistente. La business idea sviluppata in soffitta che trasforma 4 studenti in miliardari in ciabatte è una panzana che genera solo illusioni.

3. Le nuove imprese per avere successo e potenzialmente un giorno una exit positiva devono essere create con presupposti tali da farle stare in piedi e generare profitto in un arco temporale ragionevole. Nessuno mette una lira bucata su compagnie che non hanno un modello di monetizzazione stabile e consistente. Creare un’app che socializza su facebook cosa ho mangiato stasera non è una start-up, ma una cazzata.

4. In Italia finanziare una nuova impresa non è per nulla facile. Il sistema di erogazione del credito da parte delle banche è bloccato, i business angel (ossia privati con capitali personali che dedicano a finanziare iniziative private) sono molto rari e i fondi di venture capital locali sono tendenzialmente piccoli e attualmente con scarsa liquidità. Per questo sarebbe opportuno capitalizzare bene la nuova compagnia. Di qui l’importanza delle considerazioni al punto 3: i soldi con cui si parte, se la compagnia non genera profitti in tempi ragionevoli, si riducono progressivamente diventando una gogna.

5. C’è da farsi un culo così.

Mettiamo dunque i piedi per terra prima di sembrare nel migliore dei casi ridicoli.

Una start-up significa aver voglia, essere i numero uno e fare grandi cose con soldi sufficienti per farli e questo signifa zero garage e da diverse centinaia di migliaia di euri a qualche milione.
L’idea dev’essere concepita e, prima di essere realizzata, finanziata.

Quindi se mai vi pungesse vaghezza di startuppare vi consiglio 3 cose:

Concludo con una nota di ottimismo: visto che c’è la crisi e che investire in borsa è un rischio, il mattone sta crollando (gli imminenti i fallimenti dei gruppi che facevano cartello dovrebbe sbloccare i prezzi) e tutti quelli svegli evitano l’immobiliare, i finanziatori che ancora vogliono investire nel Bel Paese devono trovare formule alternative di investimento che potrebbero essere la vostra start-up.
Ma fate bene i conti, fate dei bei progetti che scarichino a terra. Conti concreti e pensiero elevato.

Buona, consapevole, start-up a tutti ;)

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2 Comments

    • 6 Dicembre 2012
      Reply

      Gianni il pessimismo vola !

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