Un paese in svendita: il Made-in-Italy che cede alla crisi perchè non sa innovare.

Mappa-del-lusso

Ieri Lisa ha condiviso un articolo del Corriere che riportava uno studio di KPMG advisory descrittivo (alla faccia dell’advisorship) dal valore sicuramente più suggestivo che strategico: un listone con diverse acquisizioni, totali o parziali di quote che però potrebbero tradire l’inizio di scalatone o scalatine, delle grandi aziende italiane.

Sarà perchè è molto visuale e ha le bandierine colorate che riescono ad attrarre pure l’attenzione di uno dalla soglia d’attenzione pari a quella di un pesce rosso (che si sa che la mente del golden-fish si resetta ogni 4-7 secondi e poi gli pare di stare in un acquario tutto nuovo… ) mi ha molto colpito.

Soprattutto quelle bandierine hanno attratto la mia attenzione: come se fossero tanti consolati, fette di storia industriale italiana SBREMM cacciate via, qui comandano gli stranieri, non è frutto dello spirito imprenditoriale, della passione, della sensibilità e della strategia italia ma sempre più sarà solo “fatto da schiavi italiani“.

Oltre, naturalmente ad aziende del comparto alimentare (la cui svendita fu iniziata a valle delle privatizzazioni IRI da quel Prodi a cui tante cose sono state contestate ma di cui l’aver svenduto l’accesso ai francesi ed alle multinazionali ad uno dei settori più strategici ritengo personalmente sia stato una delle azioni più gravi) a navigare la mappina vedi che ce n’è per tutti i gusti: lusso, fashion, retail, finance, automotive

Perfino la logistica, la cui importanza, visto che la logistica non è particolarmente sexy, non immediatamente sarà lampante a tutti, ma è una delle aree importanti in qualità di infrastrutture abilitanti alla crescita, soprattutto in un paese dove le infrastrutture ex-statali fanno acqua da tutte le parti e di cui avremmo bisogno come l’acqua nel deserto per riuscire ad uscire dalla crisi ed iniziare, chennesò a esportare quel che produciamo.


Diamo un’occhiata alla lista che, comunque non comprende perdite minori di brand storici come Cova (che secondo me è stata comprata da LVMH solo per far girare i c@@@@@@@i a Prada) o Sixty (salvata dal fallimento per due tollini, ma questa volta è un bene):

  • Prada
    settore Tessile/Abbigliamento
    acquisita nel 2011 da Mercato
    valore € 1.744.000.000
    quota rilevata 19%
  • Loro Piana
    settore Tessile/Abbigliamento
    acquisita nel 2013 da LVMH Mo→t Hennessy Louis Vuitton SA
    valore € 2.000.000.000
    quota rilevata 80%
  • Valentino Fashion Group S.p.A.
    settore Tessile/Abbigliamento
    acquisita nel 2012 da Mayhoola for Investment Spc
    valore € 700.000.000
    quota rilevata 100%
  • Rinascente S.r.l.
    settore Retail
    acquisita nel 2008 da Central Retail Corporation
    valore € 205.000.000
    quota rilevata 100%
  • Ducati Motor Holding S.p.A.
    settore Automotive
    acquisita nel 2012 da Automobili Lamborghini SpA (Audi AG – Gruppo Volkswagen)
    valore € 747.000.000
    quota rilevata 100%
  • Saeco International Group S.p.A.
    settore Diversified Consumer
    acquisita nel 2008 da Koninklijke Philips Electronics N.V.
    valore € 200.000.000
    quota rilevata 100%
  • Bulgari
    settore Tessile/Abbigliamento
    acquisita nel 2011 da LVMH Mo→t Hennessy Louis Vuitton SA
    valore: valore € 4.300.000.000
    quota rilevata 100%
  • Ecorodovias Infraestrutura & Logistica S.A.(Impregilo S.p.A.)
    settore Trasporti/Logistica
    acquisita nel 2013 da Primav Construçoes e Commercio S.A. e BTG Pactual
    valore € 925.000.000
    quota rilevata 29.2%
  • Bertolli (Maya, Dante, and San Giorgio olive oil)
    settore Food, bevs & Tobacco
    acquisita nel 2008 da SOS Cuétara S.A.
    valore € 630.000.000
    quota rilevata 100%
  • Findus Italy
    settore Food, Bevs & Tobacco
    acquisita nel 2010 da Birds Eye Iglo Group Ltd
    valore € 805.000.000
    quota rilevata 100%
  • Terna Participações
    settore Electricity/Gas/Water
    acquisita nel 2009 da Companhia Energetica de Minas Gerais
    valore € 797.000.000
    quota rilevata 65.9%
  • UniCredit
    settore Bancario
    acquisita nel 2010 da Aabar Investments PJSC
    valore € 1.850.000.000
    quota rilevata 5%
  • Hydril pressure control business (Gruppo Tenaris)
    settore Siderurgico
    acquisita nel 2008 da General Electric Co.
    valore € 702.000.000
    quota rilevata 100%
  • Cerved Group Spa
    settore Finanziario
    acquisita nel 2013 da CVC Capital Partners
    valore: di € 1.130.000.000
    quota rilevata 100%
  • Enel Viesgo (Gruppo Enel S.p.A.) – Assets
    settore Electricity/Gas/Water
    acquisita nel 2008 da E.On A.G.
    valore € 703.000.000
    quota rilevata 100%
  • Liberty Surf Group S.a.S. (Alice France, Gruppo Telecom Italia S.p.A.)
    settore Informatico/Tlc
    acquisita nel 2008 da Iliad S.A.
    valore € 775.000.000
    quota rilevata 100%
  • Interbanca S.p.A.
    settore Bancario
    acquisita nel 2008 da GE Capital
    valore € 1.000.000.000
    quota rilevata 100%
  • Intesa Sanpaolo Servizi Transazionali
    settore Bancario
    acquisita nel 2010 da State Street Corporation
    valore € 1.750.000.000
    quota rilevata 100%
  • JSC Gazprom Neft
    settore Waste/Oil/Mining
    acquisita nel 2009 da OAO Gazprom
    valore € 3.089.000.000
    quota rilevata 20%
  • N&W Global Vending S.p.A.
    settore Diversified Consumer
    acquisita nel 2008 da Investcorp SA, Barclays Private Equity Limited
    valore € 800.000.000
    quota rilevata nd
  • Grupo Costanera SA (Gruppo Atlantia SpA)
    settore Trasporti/Logistica
    acquisita nel 2012 da Canada Pension Plan Investment Board
    valore € 857.000.000
    quota rilevata 50%
  • Parmalat
    settore Food, bevs & Tobacco
    settore merceologico acquisita nel 2011 da Groupe Lactalis SA
    valore € 3.727.000.000
    quota rilevata 83,3%
  • Cassa di Risparmio della Spezia S.p.A., 96 sportelli del Gruppo ISP
    settore Bancario
    acquisita nel 2011 da Crédit Agricole SA
    valore € 740.000.000
    quota rilevata 80%
  • Marazzi Group S.p.A.
    settore Diversified industrials
    acquisita nel 2013 da Mohawk Industries
    valore € 852.000.000
    quota rilevata 100%

La situazione un po’ mi sconforta e, a parer mio, le ragioni son due:

  • In altri paesi, in primis la Francia, dove il valore aggiunto alla produttività non è la forza lavoro ma il know-how ed il branding indiretto si fa del protezionismo che aiuta le aziende a rimanere un po’ più legate al territorio e uno stato un filo meno cialtrone le aiuta a federare, a creare dei distretti produttivi: amici del fashion dovete esportare? allora vi aiuto a organizzare una logistica congiunta.
  • l’individualismo di una classe imprenditoriale italiana un po’ miope un po’ provinciale: l’industrialotto vuole il suo nome sulla targa fuori dall’azienda e sogna di diventare il padrone della squadra di calcio della zona.
    Mai si assocerebbe con un’altro produttore magari parzialmente competitor (o che è arrivato al golf club con una macchina con 50 cv in più della sua, quale onta da lavare col sangue!?!) per creare sinergia su logistica o produzione.
    Mai cederebbe delle azioni dell’azienda per entrare a far parte di un contesto più, tutto suo, e poi lo cede al figlio c######e (e qui ne ho un bestiario piuttosto ampio, in ordine di frequenza annoveriamo: il cocainomane, il soggiogato dall’arrivista e/o dall’amante, quello che si sente artista, quello che si fida di chi gli tiene i conti, lo scansafatiche, quello che ha studiato ad Oxford e quindi si sente un genio del venture… ) che se magna tutto finchè non restano che ossa, dell’aziendina/aziendona di famiglia.

Ultima considerazione a sfondo digitale: vi inviterei a fare un giro sui siti dei vari marchi citati nel listone dell’infamia e a provare a fare un minimo benchmark con qualche competitor internazionale o altri siti posseduti dai medesimi gruppi acquirenti da un po’ di tempo in più….

Fatto? Cosa ne pensate?

Secondo me, anche a non essere dei malati di benchmark, si vede ad occhio nudo che hanno tutti un’approccio che sembra vecchio di 10 rispetto ai competitor.
La strategia digital di un’azienda è uno degli indicatori più evidenti dello stato di salute e la capacità di adattamento alle dinamiche di un mercato che proprio nei momenti di crisi subisce cambiamenti più radicali e veloci.

Come ci insegna Darwin, adattarsi al presente, prepararsi al futuro, e perchè no, innovare il business model è il segreto per appartenere alle specie dominanti anche nel luxury, nel fashion o nel finance.

Buone svendite a tutti …

7 Comments

    • 30 Luglio 2013
      Reply

      Ciao Massimo
      innanzitutto piacere e ottimo spunto: in effetti mi sa che sono stato un po’ pessimista nel taglio del post e mi fa piacere questo addedndum in particolare Aston-Martin non lo conoscevo mi entusiasma :)

      Tre considerazioni:

      • mi pare che l’imprenditoria più reattiva sia quella media e quella grande (a cui idealmente era rivolto il post) sia invece più statica/passiva
      • temo che il bilancio cessioni/acquisizioni vs estero non sia ancora in positivo
      • anche nei casi di acquisizioni resto sempre un po’ cauto: siamo gli unici che quando comprano finiscono per essere comandati dagli acquisiti (ogni riferimento/assonanza a Chrysler è puramente casuale e non voluto) …

      Se hai spunti o delle altre belle notizie da segnalare, caspita, manda manda !
      ciao
      Gasp

  1. 30 Luglio 2013
    Reply

    Se acquisissero chi è al governo non avremmo più nessun problema …:) Lo stato si preoccupa di chiamare noi contribuenti “evasori” ………e poi regala i soldi al nostro usuraio, che li ripresta alle banche per comprarci i nostri titoli di debito/stato ! Se delocalizza anche la prima impresa europea “la mafia” siamo rovinati … è l’unica che continua a investire sull’Italia …:)

    • 30 Luglio 2013
      Reply

      Hahaha analisi lucidissima :)

  2. 31 Luglio 2013
    Reply

    Interessante anche se ho notato pure io un certo tono pessimistico forse eccessivo. Il problema di fondo probabilmente sta:
    – nella capacità di distinguere quando un’azienda è decotta e qualcuno estero o meno decide di puntare sulle sue capacità imprenditoriali e su quelle operative della manodopera italiana per proporre una valida alternativa industriale
    – come dicevi tu nella mentalità imprenditoriale dei parùn che non hanno una visione di crescita e sviluppo di medio e lungo termine la quale contempli il passaggio ad un modello di governance manageriale serio al posto dei passaggi generazionali che nella maggior parte dei casi risultano essere la peggiore soluzione.

    Ci troviamo quindi in una situazione che ci vede svendere gioielli per incapacità o malafede gestionale (schei, schei, shei) salvo poi sbandierare e difendere ad oltranza la nostra presunta italianità per aziende come Alitalia che francamente erano e sono solo un peso economico di cui potremmo e vorremmo fare a meno.

    • 31 Luglio 2013
      Reply

      Ok è ufficiale … sono stato troppo pessimista.
      In ogni caso due precisazioni:

      • sono un convinto capitalista e proprio per questo se uno agisse per “schei” lo rispetterei perchè sarebbe un operatore razionale se agisce per appagare l’ego con decisioni antieconomiche ignorando volutamente il baratro dietro l’angolo mi fa venire in mente la parabola dei talenti…
      • i cadaveri politici sono una storia a parte che però esulano da questo tema e per cui devono esserci pesi e misure dedicate, ad esempio casi come Parmalat, Alitalia (per l’appunto) o più recenti Monte dei Paschi e Finmeccanica non dovrebbero essere liquidati con i luoghi comuni che si leggono sui giornali, spesso ci sono altre ragioni …

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