Amazon uccide gli eCommerce italiani: come sopravvivere?
La qualità percepita vince sul servizio erogato.

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Un po’ di giorni fa ho letto un articolo sulla repubblica in cui intervistavano l’amico Alessandro Perego dal titolo drammatico “E-commerce, i siti minori chiudono il boom è trainato dai colossi del Web” da cui cito l’incipit: «L’e-commerce in Italia può essere paragonato a un grande centro commerciale in cui il 95% delle vetrine è occupato dai primi 250 operatori e il 5% da esercenti di dimensioni ridotte», spiega Alessandro Perego, direttore dell’Osservatorio digital innovation del Politecnico di Milano. «È difficile per questi ultimi essere “notati” e trovare un mercato nonostante i potenziali clienti online siano 17 milioni in Italia». E prosegue dicendo che gli eCommerce italiani devono puntare sulla logistica ed essere consci dei propri limiti altrimenti rischiano di essere fuori gioco. Conclude suggerendo di valutare gli aggregatori come booster.

Ritengo Perego uno dei più (o, a esser cattivi, uno dei pochi) seri e bravi nel panorama eCommerce italiano ma questa volta “sono pienamente d’accordo a metà col mister“.

Secondo me, Dal punto di vista imprenditoriale:

  • D’accordo che Amazon, eBay, Farfetch, Yoox, etc sono sia un’opportunità Manel breve termine che, soprattutto, un’oppiaceo che sopisce lo spirito imprenditoriale che fa accontentare dei du spicci che raccoglie e lo baratta con il rischio necessario,
  • Ci sarà un motivo per cui i consumatori italiani comprano molto più dai siti esteri che da quelli del bel paese (uno dei cavalli di battaglia di Liscia, un altro dei big dell’eCommerce, che riprendo dopo): l’offerta del nostro mercato interno digitale è troppo scarsa per soddisfare un consumatore-digitale man mano più esigente, che finisce per acquistare all’estero (pure l’abbigliamento, ma ti pare?)
  • Una serie di categorie ad alto potenziale non sono per nulla: food, artigianato alto, lusso, design poco o per nulla digitalizzate con siti orribili degli anni 2000,
  • Sicuramente non ci si può aspettare di ottenere grandi risultati con piccoli sforzi, l’eCommerce dei poveri non paga come ho di recente sostenuto ma la logistica (importantissima) è il penultimo dei problemi.

Un eCommerce di successo in 10 passi

E qui metto un titolo ad effetto perché mi sento un po’ come Ron Hubbard quando parla di alieni: avevo già affrontato l’argomento con una certa preveggenza un paio d’anni fa (in un post ed una presentazione) quando il tema del conflitto tra Marketplace e eCommerce locali non era ancora realtà quotidiana ma era facilmente prevedibile per chi lavorava all’estero e con grandi clienti, il decalogo per sopravvivere ad Amazon:

  • 1. Value proposition: dare una buona ragione ai clienti per comprare sul nostro sito
  • 2. Business planning: capire esattamente quali sforzi devo fare in quale aree (più o meno tutte le seguenti) per ottenere un sito di successo (quello garantito dal primo punto)
  • 3. Channel integration: l’omnicanalità ai tempi era innovativo, adesso lo consideriamo sdoganato anche se il 90% degli eCommerce non l’hanno mai implementato
  • 4. Organization: uno dei temi in realtà più cari a tutti quelli che hanno deciso di fare sul serio e più apprezzati tra i post del blog “quante persone e quanto brave devo prendere?”
  • 5. Logistic evolution: se dobbiamo diventare omnicanali non possiamo demandare l’organizzazione logistica a terze parti ma trovare partner attendibili con cui estendere le mie capacità
  • 6. Direct Marketing: un negozio vuoto è un negozio che non vende
  • 7. Commercial strategy: se non ho niente di buono da vendere il negozio è pieno di clienti delusi
  • 8. Assortment planning e merchandising: se sono bravo riesco a far comprare ai clienti quello che voglio io influenzando il mix dello scontrino sennò finisco la robba buona e il resto prende la polvere sugli scaffali (questo è uno dei temi che mi sono più cari ultimamente e mi sa che sarà uno dei prossimi post)
  • 9. Product data-sheet: e se di prodotti si parla il prodotto che non si tocca si deve almeno poter vedere come Dio comanda
  • 10. Experince-Driven: l’experience è tutto non è solo il modo in cui fai i design ma tutto l’insieme di quel che devi comunicare al cliente al momento giusto, altrimenti rischi di aver fatto bene tutti i 9 passi precedenti ma ti perdi tutto il lavoro

Presentazione vecchia fa buon brodo :)

Effetto Amazon: polarizza l’offerta

Quindi a valle della carrellata di quel che bisognerebbe fare sorge la domanda: “ma il mio business potrebbe sopravvivere se non diventare di successo nonostante il colosso che ho di fronte?”
La risposta è SI, in 3 parole come vivo Amazon da consumatore: a me non piace e si può fare forse di meglio ma sicuramente qualcosa di più adatto a tanti consumatori di un certo tipo.

Certo molti non la pensano nello stesso modo ma a me Amazon:

  • non piace l’assortimento commerciale, c’è tanta roba ma tutta super cheap è il paradiso del gadget, l’eden della paccottaglia, il,limbo dell’elettronica ma delude il consumatore esigente. Va bene se cerco una cover ma non se cerco un capo d’abbigliamento o un orologio,
  • La personalizzazione è ridicola, son due anni che continuano a propormi di comprare lo stesso libro di Baricco che avevo comprato proprio da loro…
  • L’elettrodomestico lo compro comunque su ePrice (che credo nel comparto abbia dei risultati migliori di big A) perché i servizi (localizzati) di consegna installazione smaltimento sono molto migliori, e alla fine della fiera mi danno più valore dei €10 che risparmio,
  • Non c’è nessun tipo di integrazione con il fisico ed il locale: io che viaggio sempre e non ho la portineria ho problemi a ricevere i beni e se non accedo a soluzioni miste (a me piace tanto indabox) mi perdi (e prime è na sola).

In sostanza di questi 4 motivi ce ne sono 2 operativi e 2 quelli che di fatto influenzano di più la mia scelta sono legati al fatto che non trovo quello che voglio, e nonostante stiano provando a differenziare il modello con offering verticali per segmenti di mercato, Amazon continua ad essere un ambiente non adatto per aziende con un certo tipo di prodotti, di merceologie, di posizionamento.
Quindi polarizza copre bene un segmento in cui è più difficile competere ma non compre una larga parte dello spettro dove ha senso orientarsi.

Perché un cliente dovrebbe comprare sul tuo sito?

Torno al decalogo…. Ho scritto della maggior parte dei punti quindi è inutile che mi ripeta ma vorrei riprendere il passaggio sulla Value Proposition, che è la miglior metodologia per trovare il polo in cui orientarsi.
Un po’ come le costellazioni per i marinai è utile guardare l’alto prima di un percorso, per orientare il cammino iniziando dal primo passo: dedicare un po’ di tempo ad un concreto pensiero strategico, anche se rischia la deriva fuffology da consulentino chiacchierone, secondo me non è mai tempo sprecato.

– inciso non conciso –
La Value Proposition è un ca##@ di grande classico, che si trova tranquillamente su wikipedia o nelle lezioni di marketing avanzato di tante Università,e non credo che vada reinventato o interpretato, nulla, solo ripassato (O studiato almeno una volta….angolo della spocchia: mi meraviglio sempre di tutti i miei analyst/consultant bocconiani a cui non hanno fatto studiare le basi come la catena del valore, il ticket mix o, appunto la value proposition. Ne approfitto per strapazzarli un po’ ma oltre a quel barlume di sadismo spero si colga il rude intento pedagogico (ragazzi vi voglio bene sotto sotto :) ).

Lezione universitaria – un po’ più corposetta e strutturata di wikipedia che ricostruisce in modo più accademico tutto il percorso logico che nel post sarà uber-semplificata

– fine inciso –

Quando ci inventiamo il nostro eCommerce dobbiamo semplicemente Rispondere alla domanda “perché il cliente dovrebbe venire a comprare sul mio sito?” O “perchè il cliente dovrebbe scegliere il mio prodotto o il mio brand?”.
Il bello è che la risposta non è mai uguale, anzi più diversa è più è probabile, entro i limiti della stravaganza, che sia valutata di successo, ma in assoluto non importa come ma dobbiamo in assoluto distinguerci.

Facciamo alcuni esempi:

  • un grande retailer aveva deciso di puntare sull’on-line con un assortimento uguale (come ampiezza assortimentale ma naturalmente non come profondità) ad Amazon ma con benefici marginali (ad esempio logistica), da leggere con tono eufemistico: Non ha raggiunto gli obiettivi del business-case e sta ripianificando modello, assortimento e customer journey.
  • Due produttori di scarpe fatte a mano in Italia hanno provato ad andare on-line vendendo modelli classici, uno passa come messaggio ai clienti “il lusso è ora accessibile” con l’ossimoro più trito del fashion che fa tanto “scarpe belline per chi vuole ma non può”, l’altro fa le scarpe con un abbinando calzatura ed accessori con una gamma vasta di colori inclusi colori più particolari come il verde bottiglia, il blu oltremare … Secondo Voi quale attrae di più?
  • dollar shave in us ha avuto una diffusione enorme perché permette di sottoscrivere un ordine ripetuto (in base alla consumption) per mandare il pacchettino con lamette, crema e dopo barba ad altissima qualità con prezzi buoni rispetto alla bontà.
  • Un mobiliere brianzolo, Berto, in crisi è poi giunto «Nel mese di marzo abbiamo realizzato un fatturato pari a quelli che nel 2003 facevamo in sei mesi»… «le dimensioni erano troppo piccole. Alla fine del 2000 l’azienda era in una situazione di forte stress» e ha cambiato il proprio modello grazie alla possibilità di progettare online i modelli richiesti e ora «Già oggi il 20% delle vendite deriva dall’e-commerce, mentre un 85-90% delle vendite è in qualche modo legato al sito».

Come faccio a creare una mia Digital Value Proposition distintiva?

Di solito si procede con delle metodologie di brain-storming guidati (o i “rumble” degli specialisti si Service Design che tanto sta andando di moda ultimamente), e che poi avrebbe senso incrociare con dei dati di mercato oggettivanti per non farsi fuorviare dalla propria visione del mercato, in cui in sostanza si esaminano due facce della stessa medaglia:

  • Attese del cliente – con tre dimensioni:
    • 1) il Desiderato più afferente alla sfera emozionale per la gratificazione della persona (la differenza tra un Dell qualunque e un Alienware, giusto per non farvi dimenticare che sono nerd)
    • 2) il Bisogno più afferente agli aspetti razionali di soddisfacimento di un’esigenza
    • 3) Timori legati a fregature potenziali o problemi non considerati
  • Caratteristiche del prodotto – anche stavolta con tre dimensioni:
    • 1) Benefici, veri o presunti che siano, legati a per quale motivo una persona dovrebbe acquistare il prodotto
    • 2) Experience ovvero come questo prodotto faccia sentire un cliente
    • 3) Caratteristiche quindi cosa realmente fa l’oggetto

Ecco un’immagine che rappresenta la metodologia semplificata di realizzazione di un canvas
Value-proposition-map

Quanto emerso dovrebbe poi essere riflessa dal “Cuneo del valore” che dovrebbero essere le dimensioni caratteristiche (e questa volta anche quantificabili e misurabili) che dovrebbero descrivere il nostro prodotto:

  • Valore economico – misurabile con benchmark di mercato
  • Valore tecnico funzionale – misurabile con benchmark di prodotto
  • Valore intangibile – misurabile con una ricerchina di mercato (non è che per forza dovete andare da Capeci, iniziate con una c#### di Survey monkey per capire se piacete o fate schifo …)
  • Valore emozionale – misurabile con una ricerchina di mercato (non è che per forza dovete andare da Capeci, iniziate con una c#### di Survey monkey per capire se piacete o fate schifo …)

cuneo-di-valori

Gli eCommerce Italiani possono proporre prodotti che hanno intrinseci un mondo di valori e qualità che spesso diamo per scontati e che quasi mai vengono spiegate bene.

Se a me, come consumatore esigente, date un oggetto bello, a modo suo se non unico quantomeno distinguibile, che mi piaccia e in cui mi riconosco (meglio ma non necessariamente personalizzato), con un prezzo non necessariamente basso ma giusto rispetto al mercato (magari perché il produttore ha disintermediato alcuni passaggi della catena distributivi che alzano il prezzo senza portare valore), vi giuro sul mio iPad che non mi frega niente se lo ricevo dopo 10 dal momento dell’acquisto.

Se invece mi proponete la stessa cover di Amazon mi frega perché diventa l’unico driver di scelta.

Ad esempio sono andato su un sito dove vendevano un vino… Anzi a raccontarla tutta un amico mi ha consigliato di provare un vino campano particolare, lo cerco ed escono 4-5 siti inglesi che mi vendono vino italiano prima di trovarne uno nostro. Allora inserisco secco il nome di un dominio di un sito di un amico che si sta specializzando in vini a fianco al nome del prodotto. Finalmente Google lo trova vado, descrizione del prodotto penosa, non mi spiegano quanto sia acido, tanninico, se quali riconoscimenti abbia preso a cosa assomigli e nemmeno il bilanciamento tra gli uvaggi Piedirosso ed Aglianico.
Altro sito pure peggio. Terzo sito un po’ meglio ma non troppo e comunque tutto solo in Italiano.

Morale mi passa totalmente la voglia di comprarlo (e prima di farmi passare la voglia di bere un vino top vi assicuro che ce ne vuole), se mai mi fosse punta vaghezza avrei comprato da un sito .com e non .it e comunque nessuno mi ha spiegato per quale motivo avrei dovuto spendere €25 o €3o per un vino che non riuscivo a capire se mi sarebbe potuto piacere o meno.

E questo è l’altro grande dramma (accennato all’inizio che ora esplodo) che Roberto Liscia da sempre contesta nel bilancio tra Import ed Export commentando una slide (12) degli studi dell’osservatori sempre dell’ottimo Perego per cui gli taliani comprano on-line dall’estero 4.418 mln di €uri ma riescono a vendere solo 3.012 mln di euri: se non riusciamo a esprimere la nostra eccellenza ai compatrioti che sono già più sensibili a comprenderla figurarsi se abbiamo mezza chance nel resto del mondo.
Provate a immaginare se avessimo una buona Value Proposition e una buona Execution (sempre il tema dell’eCommerce dei poveri)quanto potremmo riuscire a fare.

Value Proposition: dal dire al fare

Se vi ho incuriosito sul tema della value proposition e volete approfondire, potete dedicare un po’ di tempo a leggere un’esercitazione fatta da un pregiato collega Strategy, Danilo, ad un lab organizzato da un cliente per provare a fare un esercizio un po’ più pratico:

L’importanza della visione

Naturalmente se volete davvero cimentarvi in un esercizio simile ricordatevi che in teoria sta roba potrebbe trasformare un bel po’ il vostro business e la vostra presenza sul mercato (branding, posizionamento, pay-off, …), quindi sarà bene che, se definite una nuova direzione, sia solida e regga a colpi del tempo. Da appassionato innovatore, ricordate che non sempre il cambiamento porta guadagno.

Se poi di digital stiamo parlando la visione del medio termine si lega indissolubilmente con le evoluzioni del customer-journey, delle aspettative e delle abitudini del consumatore.
Quindi provate a capire non solo a dare una buona ragione al cliente per comprarvi oggi ma anche quando il digital sarà morto o il vostro competitor non sarà più Amazon ma Alibabà. E qui torna buona la mezza tonnellata di fuffa prodotta su tutti gli altri post del vostro blog preferito :)

il-digital-e-morto-lunga-vita-al-connected-customer-e-all-innovazione

In chiusura: i consigli pratici per la sopravvivenza

Cari i miei Digital-David non lamentatevi che la vita è difficile: non potrà che peggiorare, tra un po’ arriverà Alibabà che sarà un Golia pure peggiore di Amazon e non scoratevi. Prendete bene la mira e costruitevi una Value-Fionda-Proposition (quasi quasi adesso costruisco un offering VFP) efficace che siete in tempo per vincere:

  • Siate Unici – se devo scegliere tra 10 uguali avete un decimo delle potenzialità di vendere se uno è Amazon, un centesimo. Essere unici, anticonformisti, piuttosto stravaganti aiuta molto e in diversi hanno teorizzato come fare, popolare fu Seth Godin con la teoria della divertente Mucca Viola e cercate di farlo in modo di non farvi copiare.
  • Valorizzatevi – Datevi un tono, un bel logo, un payoff che esprima il vostro valore, un’immagine coordinata che sia signorile, un bel sito e tanti tanti contenuti editoriali top che raccontino una storia e facciano apprezzare il prodotto (mi raccomando ocio all’agenzia a cui vi appoggiate sennò vi fa un blog di mer###).
    Vi ricordate l’esempio del Vino? Se non lo spiegate chiaramente il cliente non lo capirà.
  • Eccellete – di mediocrità è pieno il mondo e probabilmente i cinesi la fanno molto meno costosa della vostra (e, come accennato, tra 2 anni vi piombano in casa con Alibabà) quindi eccellete nella qualità dell’offerta e rispetto al segmento di mercato di riferimento e fate trasparire quanto siete bravi (anche interagendo con il clinete, creando con degli ambassador e facendo si che i clienti deliziati raccontino essi stessi quanto bravi siete).
    Vi ricordate l’esempio di quelli delle lamette da barba? Robba buona.
  • Focalizzatevi – non disperdete le energie, non fate i tuttologi, non rischiate di tornare nel campo di gioco di Amazon. Se dovete essere unici ed amati da un cliente che pensa voi e vi considera un punto di riferimento è più probabile che lo faccia per una cosa fantastica piuttosto che per 4-5 medio buone. Vino, olio, aceto, salse, salatini cioccolata e prodotti tipici? … difficile, piuttosto fate il sito con più olii di oliva e migliori olii di oliva del mondo, 400 olii eccellentemente descritti e paragonati il 10 lingue, rischiate di essere notiziabili e la prossima volta che Marianna andrà a pranzo con Stefania e staranno per condire l’insalata le racconterà di quel nuovo sito che …
    Vi ricordate l’esempio di quelli delle lamette da barba? Poco e buono.

Dai, dai, dai, che c’è un sacco da vendere, un sacco da recuperare, un sacco di opportunità da cogliere e di export da fare.

Buon raddoppio dell’eCommerce-Export a tutti

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17 Comments

  1. 26 Febbraio 2016
    Reply

    Bellissimo articolo Federico!
    in questo spazio non si sentono gli applausi ….
    bravo!

  2. Mario
    1 Marzo 2016
    Reply

    Condivido e apprezzo tutto. Siamo solo all’inizio, i settori evolvono. Viva l’e-commerce, Mario

  3. Roman
    6 Marzo 2016
    Reply

    Amazon oggi ha superato ebay un motivo ci sarà. Amazon e’ un negozio con un assortimento generalista. Tutti gli Ecommerce sul mercato italiano hanno sempre fatto business sulle spalle della logistica delle aziende; in dropshipping… Come puoi pensare di fare concorrenza ad un player con 20 milioni di items presso la propria logistica? che con i marchants arriva fino a 70 milioni oltretutto? Non stiamo parlando di un successo locale bensì Europeo. Sì perché il successo di Amazon è a livello Europeo questo significa che il concept e’ vincente e piace al consumatore Europeo.Vedo come opportunità da parte degli altri Ecommerce possibilità di competere se si specializzeranno in settori specifici. Devono però provvedere ad investire in una logistica strutturata per un servizio eccellente verso il consumatore finale.

    • 6 Marzo 2016
      Reply

      Infatti non puoi fare concorrenza, per vincere devi cambiare gioco.

  4. giovanni
    7 Marzo 2016
    Reply

    tu che sei una grande artista perché non scrivi un articolo sui micromomenti così va a finire che capisco qualche cosa sei un grande

  5. giovanni
    7 Marzo 2016
    Reply

    tu che sei una grande artista perché non scrivi un articolo sui micromomenti così va a finire che capisco qualche cosa sei un grande.

  6. Pietro
    16 Marzo 2016
    Reply

    Ciao Federico, articolo interessante (come sempre). Secondo la mia esperienza personale, quello che rende veramente Amazon fortissima è la sua value proposition, con un’attenzione estrema al cliente tipica della cultura americana a cui in Italia non eravamo per nulla abituati. Il consumatore in Italia non è per nulla protetto, e in caso di problemi in una transazione commerciale 9 su 10 non la spunta.
    Amazon ha fatto molto leva su quest’aspetto ed è riuscito a vincere la diffidenza tipica dell’italiano medio. Aggiungi a questo prezzi molto convenienti, soprattutto nel primo periodo, e ti spieghi le ragioni del successo. Ho sentito amici/parenti dire “Amazon per tutta la vita” perché a distanza di un anno dall’acquisto hanno avuto la restituzione dell’intero importo, sulla parola, appena hanno chiesto di restituire un tablet o una macchinetta per il caffé. Prima di Amazon questa era pura fantascienza! Guarda caso, Ebay, che non ha seguito la stessa politica di protezione dei consumatori, ha perso terreno non appena Amazon è entrata in scena…

    • 16 Marzo 2016
      Reply

      In realtà sono un liberista convinto per cui la competizione per come la vedo non fa che migliorare il sistema e, anche se a me non piace comprarvici (se non i componenti per il mio prossimo PC da Gaming), chapeau ad Amazon. Il problema è che in Italia “Competizione” non fa rima con “innovazione” e invece di spingerci a migliorare ci chiudiamo a riccio e investiamo ancora meno di quel poco che avremmo fatto per paura di … Lo spirito dietro al post era di spronare chi ha un po’ di quell’indomito spirito imprenditoriale perchè credo che si possa ancora vincere.

  7. Dare D.
    7 Aprile 2016
    Reply

    A dire il vero ultimamente ho notato che nel fashion (e parlo specialmente di pesci di dimensioni medie ma anche di pesci grossi) la tendenza è proprio quella di andare verso amazon e zalando (come clienti) e altri pure player della distribuzione online come net a porter, insieme allo sviluppo del proprio e-commerce proprietario. Non riesco a capire se questo dia la mazzata finale o faccia da volano all’azienda perchè di fatto amplia la distribuzione e quindi la visibilità del brand…che ne pensi?
    ps: bel pezzo!!!

    • 7 Aprile 2016
      Reply

      Grazie :) In realtà spesso le vendite su Zalando o Amazon sono vendute da entità aziendali che non sono il digital ma le vendite e spesso non hanno una strategia coordinata alle spalle o dei contratti che tutelino i brand a distribuire correttamente senza generare conflitti tra canali commerciali.
      Altri invece li attivano lucidamente per ampliare la presenza sui diversi touchpoints.

      • Dare D.
        8 Aprile 2016
        Reply

        Sì questo è verissimo ma questo post mi ha messo un tarlo :)
        Secondo me per un brand di dimensioni medie che deve creare ancora costruire strategia e-comm/digital amazon e zalando potrebbero aiutare se si opta per una differenziazione di contenuti (non facendo l’errore di dargli le stesse foto in primis) e di servizi offerti all’utente ma anche di buying (ad esempio con un online exclusive). Se non puoi combatterli serviti di loro, insomma, a patto che non incida sull’equity e che poi stai attento a non farti mangiare

        • 8 Aprile 2016
          Reply

          Esatto :) … E non legarti troppo che magari l’Amazon-euforia non dura per sempre.

  8. 5 Luglio 2017
    Reply

    Ciao, ho letto il tutto con piacere e l’ho trovato estremamente istruttivo. Purtroppo nel settore digitale siamo ancora indietro e abbiamo bisogno di innovazione anche della didattica: le nostre università fanno ancora troppa teoria e poca pratica. Per fortuna c’è materiale di valore come questo articolo su internet che possa “guidare” o comunque dare 2 dritte colmando (per chi sa cogliere) alcune delle lacune “digitali” del nostro sistema educativo di business.
    In sostanza grazie per le dritte e speriamo di non essere “mangiati” dai nuovi giganti dell’ecommerce in arrivo :)

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