La mamma dei Consulenti e-Commerce e’ sempre incinta … :)

dont-try-this-at-home

La legge della domanda e dell’offerta vale in tutti i mercati, e, a costo di far inorridire i lettori più laburisti, nella mia visione del mondo anche il lavoro, più che un diritto, è un mercato ed è governato dalle medesime logiche. Domanda e offerta, appunto.

3-4 anni fa la domanda di risorse digital ha avuto un boom e di gente che ne capisse di base non ce n’era, quindi si andavano a pigliare tutti i trombati della mktg tradizionale, bastava che avessero comprato una campagna di banner con qualche ritaglio di budget e li si riqualificava, anzi, digitalizzava.

Adesso si sta assistendo a un certo boom degli e-commerce, sono cresciuti moltissimo in poco tempo e quindi il mercato sta chiedendo una grandissima quantità di risorse e-commerce ed ecco che qulli che prima facevano una serie di attività digitali addesso li stanno cercando di riqualificare come e-commerce, sia per diventare e-commerce manager (come già accennato in uno dei post preferiti dai lettori), da un lato, che per diventare consulenti e-commerce dall’altro: datori di lavoro e/o head hunter stanno cercando di clonare o “far crescere” figure professionali (ho sentito anche correre voce che stiano creando delle stie-digitali dove far nascere degli e-commerce-qualcosa in batteria). Tra l’altro il titolo è ispirato da un post “la mamma dei recruiters è sempre incinta” di un head-hunter che descriveva e commentava il mercato del lavoro.

Però questa volta il passaggio, secondo me, è molto più difficile …. e da qui parte il mio accorato appello: DON’T TRY THIS AT HOME !! quello che vedete fare intorno a voi è stato fatto da degli stunt-digital-manager professionisti se lo fate a casa vostra o fai-da-te potrebbe avere conseguenze gravi sul business.

Ma sto qua com’è che di punto in bianco mi salta fuori con sto discorso?” vi starete chiedendo. Condivido qualche scambio che mi ha fatto riflettere:

Il ritorno dell’investimento e-commerce, questo sconosciuto.

Di competitor ce n’è di tanti tipi, quelli latamente accepiti dagli erogatori di soluzioni di e-commerce in full-outsourcing ai system-integrator, dai competitor stimati a quelli per cui ti chiedi come mai non abbiano ancora cambiato mestiere.

Ebbene a una recente tavola rotonda c’era uno di quelli stimati, bravo. Di e-commerce ne ha visti un po’ e ha un forte back-ground tecnologico.
A un certo punto uno dei partecipanti all’evento alza la mano :
Scusi, ma come posso stimare il fatturato che farà il mio e-commerce ?
Risponde lo stimato:
Di solito si stima che il fatturato di un e-commerce sia quello di uno dei negozi più grossi della catena….

Mi si è gelato il sangue nelle vene per due motivi:

  • Non dico di fare tutto il pistolotto alla Mckinsey in cui ti raccontano in modo puramente deduttivo e decontestualizzato ti dicono quanti milioni di euro riuscirai a fare (magari lavorando con KPI sballati di chi non ha mai fatto davvero questo lavoro tipo un conversion-rate inglese del 5% invece di un relistico 0,5-2%), ma almeno cercare di capire:
    • awarness/trafficazione,
    • abilità di vincita,
    • attrattività,
    • value proposition,
    • strategia omnicanale,
    • e, visto che non splende sempre mica solo il sole , le barriere all’ingresso,

    andrebbero comunque analizzate. Quantomeno perchè rischi di investire per strutturarti in paesi dove non venderai mai o non fare abbastanza direct-marketing o semplificare troppo il sitino che poi non ti supporta nell’evoluzione del business. In ogni caso ci perdi dei soldi…

  • La strategia per aumentare le vendite di un e-commerce

  • Partire dalla pianificazione del business da questi luoghi comuni ha trasformato l’Italia nel paese civilizzato che investe di meno in strategie e tecnologie digitali perchè sdoganano il concetto del “e che ce vo’?“.
    Così facciamo progetti che se non hanno convinto l’imprenditore a investire, figuriamoci, se potranno mai convincere il cliente ad acquistare.
    Così tutti gli acquirenti digitali italiani insoddisfatti dall’offering locale finiscono per comprare all’estero (generando il bilancio negativo import/export e-commerce che ormai da troppi anni ci proiettano al Netcomm).

La pianificazione commerciale digitale, questa sconosciuta.

Di recente un grosso cliente ha preso un certo pacchetto di giornate per supportarli nella creazione e l’attuazione della Digital Strategy che man mano decidiamo come erogare. Durante un meeting di aggiornamento, per l’attivazione di un canale chiedo se fosse necessario il mio supporto e la risposta è stata circa: “ha vinto la gara la società X, uno dei primi player italiani, che ci ha incluso un ‘pacchetto di consulenza’ dei loro esperti nel contratto.

A onor del vero sono tra i migliori in quello che fanno, ottime competenze tecnologiche, competenze di progetto e pure discrete competenze organizzative, già li conoscevo ma mi si è risvegliato il “senso-di-ragno-digitale” che ha iniziato a pizzicare e ho azzardato una proposta indecente:
Ragazzi se per voi va bene io vengo in riunione e mi siedo in un angolino, mi faccio gli affari miei, osservo e non vi espongo nemmeno il costo…” praticamente un vojeur.

Al vojeurismo non si comanda e hanno accettato, sono andato mi son fatto gli affari miei, mega-riunione da 10 persone che si son raccontati la qualunque per 3 ore e mezza e alla fine, tirando le somme, s’era concluso poco se non niente. A quel punto dal mio angolo di guardone nascosto tra cespugli metaforici alzo la mia manina, chiedo la parola, concessa, e faccio 3-4 domande.

Apriti cielo. Il cliente guarda i sedicenti consulenti e fa: “Certo che dobbiamo capire queste cose, ma perchè non ce l’avete dette?
e gli altri: “Ma scusate se vi servivano perchè non ce le avete chieste?” e dopo quello rincaro “ma poi se facciamo le campagne commerciali come ci arriviamo alla peak-season belli carrozzati per riuscire a fare i numeri del budget?”e li si è riaperta una discussione, stavolta corta, che si è chiusa con 9 punti ordinati per temi/priorità e assegnati ad attori che hanno guidato le analisi ed implementazioni dei mesi successivi che entrambe le parti hanno richiesto/apprezzato seguissi.

Spunti emersi:

  • Il consulente è un po’ come lo psicologo, si mette li, ti sdraia su un lettino fatto di soffici slides e poi ti fa una serie di domande. Ogni tanto il cliente commenta (capitò anche a me quand’ero dall’altra parte): “ma insomma ho fatto tutto il lavoro io che lo abbiamo fatto venire a fare quello?“, ecco quello secondo me è il vero successo dell’attività di consulenza perchè, e qui parrà strano ma non sono ironico, ti ha condiviso un metodo e dopo aver impostato il lavoro ha trasmesso valore alle persone dell’azienda, che in modo graduale hanno arricchito il loro punto di vista.
  • L’uomo e-commerce deve avere il DNA da retailer, o come si dice dalle mie parti, da bottegaio. Ci nasci con la testa quadrata fatta in un certo modo e non saresti stato bravo nè a far il tecnico nè a far il comunicatore: quando guardi la vetrina ti immagini già che prodotto ci starebbe li per portar dentro la gente, non pensi a quanti watt dovrebbe avere la lampadina per emettere quella luce o a quale sarebbe dovuto essere il payoff figo da mettere sotto l’insegna, quelli sono elementi facilitanti che si imparno o si acquistano ma non possono essere i driver per definire le priorità di un e-commerce.

I profitti e le perdite, questi sconosciuti.

Uno dei miei amici più cari vende media per una nota agenzia che fa anche e-commerce, qualche mese fa, durante una conversazione sulle differenze di uno e dell’altro, dopo aver letto un post su un’idea che mi era venuta analizzando il mercato delle app di messaging mobile, arrivò a chiosare: “… e comunque tu sei un pirla perchè ti vengono quelle idee li e invece di realizzarle o metterle in pratica ti metti a regalarle sul blog con dei post inutili… “.

Se vi fidate di me sulla parola rispetto al punto precedente, un po’ il DNA da bottegaio mi sento di averlo e, anche se ho sempre voluto andare a lavorare in una Onlus sono finito in un posto dove sono ancora abbastanza attaccati al grano e, se mai me lo dovessi dimenticare, mi rinfrescano quotidianamente il valore di ogni minuto uomo.

Al caro amico spiegai due assunzioni che mi guidano nella comunicazione quotidiana e anche nella redazione del presente spazio:

  • Oltre a essere bottegaio-digitale ai tempi mi fecero fare pure ragioneria e mi è venuta una specie di deformazione per il P&L.
    Appena uno inizia a parlarmi di un’attività, è più forte di me, inizio subito a capire quale costo abbia, la marginalità e la quantità di clienti prima del break-event … non riesco a trattenermi, e a volte mentre mi parlano faccio pure la figura del babbo perchè rimango imbambolato a finirmi i miei conti: ho finito di capire se l’idea avesse potuto avere una redditività interessante (almeno per me e i mezzi da me accedibili) prima di aver formulato l’idea e l’ho scritta a cuor leggero perchè era già uscita dalla pipeline.
  • profitti-perdite-ritorno-investimento-e-commerce

  • L’altro punto è che scrivo questi post perchè un povero consulente si può distinguere da un aggressivo venditore armato di listini solo facendo aumentare la consapevolezza, aiutando a porre quei quesiti quasi freudiani e a far trovare le giuste risposte seguendo un metodo, spesso personale.
    Il cliente preparato diventa più esigente perchè è più realizzativo: più uno trae spunto, più acquisisce consapevolezza, più, se è uno che le cose le realizza (anzichè parlarne e basta o dar via al ribassatore più aggressivo), matura l’esigenza di un interlocutore solido che riesce ad alternare deduzione ed induzione.

Gran Finale

Per fare il consulente e-commerce:

3) L’e-commerce di per se ha una notevole complessità, lo devi aver visto almeno un paio di volte sennò canni tutti i driver e le diverse scelte contro-intuitive.

2) L’approccio del consulente non è nè quello dell’agenzia nè quello del tecnico, è una roba diversa che, individuati gli obiettivi, ti porta a gestire la complessità, quindi a ridurla.

1) Lo spirito del bottegaio o ce l’hai e vendi o non lo impari.

Se avete bisogno di chiamare un consulente e-commerce:

A) Potete, ignorando i consigli dei JackAss, decidere di provarci lo stesso a casa anche se non sei un professionista (mi giunge voce che l’ultimo manager che ci ha provato abbia fatto la fine sotto catturata nel pittogramma illustrativo, bruciato? :)
e-commerce-fai-da-te

B) Se avete un’impellente urgenza digitale, mantenete la calma e seguite l’indicazione dalla perfida Albione vedi poster:
call-gasp

Buona consulenza e-commerce a tutti :)

Anche a te non piacciono le bruciature? Segui gli aggiornamenti del blog su FB facendo un semplice like, a me farebbbe molto piacere :)

Oppure condividi il post sulla tua pagina.

6 Comments

  1. andrea
    9 Luglio 2013
    Reply

    bel post… però ricordo ancora i danni fatti da accentuare o da chi prima di lei (Arthur Andersen), quando si gettò in consulenza sul web marketing… boom incredibili e roboanti quanto i flop successivi… ;) per fortuna (di clienti e accenture) Gasparotto c’è!

    • umberto
      9 Luglio 2013
      Reply

      Come sai (ne abbiamo parlato tante volte) sono perfettamente d’accordo con te: i valori dell’esperienza e della conoscenza non sono mai frutto di improvvisazione.Tra l’altro, per rispondere al condivisibile commento di Andrea qui sopra, sottolineerei come un progetto di successo sia basato molto più sul valore degli uomini che lo hanno concepito e deliverato, piuttosto che sul prestigio della casacca che vestono.

      Non si può tuttavia ignorare come il ruolo del “buon consulente” sia sempre più difficile da difendere in un contesto, quello digitale, dove la consulenza ha venduto più volte progetti per cui non era nè preparata, nè strutturata, finanziando la propria formazione con i budget dei clienti.

      Il problema vero è che nella consulenza si annida una quantità imprecisata di cinture nere di power point la quale, chiamata a mettere in opera anche solo la prima slide delle proprie presentazioni, crolla miseramente dietro l’evidenza della propria inadeguatezza. La consulenza deve necessariamente fare un passaggio se vuole continuare ad essere un interlocutore credibile e quindi sopravvivere: trasformare le proprie risorse da “uomini del dire” a “uomini del fare”, capaci non solo di guidare il processo di operativizzazione dei progetti, ma anche di determinarlo, controllarlo e validarlo step by step fino al delivery finale.

      I maligni sostengono che nei grandi gruppi internazionali di consulenza questo passaggio resterà per sempre una chimera, e che la politica vincerà sempre sulla competenza finchè non saranno in esaurimento le risorse del tessuto economico di cui i gruppi internazionali stessi si nutrono. Tu che dici, hanno ragione?

      • 9 Luglio 2013
        Reply

        Umbs sono molto d’accordo ma vorrei soffermarmi sul concetto di “FARE” (che pure mi ricorda molto il naufragato Giannino).

        Innanzitutto ci sono consulenti di diverso tipo, a ben vedere anche un cocopro è un consulente quindi mi focalizzarei su quelli dei nomi noti e delle grandi aziende.

        Sulla consulenza direzionale ci sono player di tipo diverso:
        – alcune si posizionano solo altissime e con approccio puramente deduttivo (Boston, McKinsey, etc … ) e questi fanno dei disastri agghiaccianti, anche perchè i benchmark da paese a paese cambiano molto e il digital è totalmente abilitato da funzionalità e processi d’execution che se non comprendi non riesci falsano totalmente le proiezioni (ricordo sempre che sti geni, uno per società di consulenza quindi con sto esempio li copro tutti, copiando famosi business-casehanno consigliato a tutte le case editrici di provare a creare delle proprie flash sales per far fuori il cambio merce senza comprendere quali fossero i fattori abilitanti che avevano permesso a ventee-privee di crescere. Le iniziative sono fallite tutte perchè concepite tutte con lo stesso metodo)
        – Altre (e qui non volevo fare elogi a una piuttosto che all’altra per tenere il blog più neutro possibile ma sto giro me tocca) come Accenture coprono tutto lo spettro andando dalla consulenza direzionale, all’impelemntazione tecnologia, all’organizzazione logistica fino a rispondere al call-center (ma bada bene che per farlo non a caso sono arrivati nella sola Italia ad avere 11.000 cristiani invece che i soliti 500 figli di papà).

        Il secondo caso si distingue dal primo perchè qui ci sono comunque persone del “FARE” orientate sia al delivery di soluzione che al servizio e già questo è un discreto valore.

        Esiste poi un ulteriore livello di “FARE” che è, in questo caso, “gente che ti aiuta a mettere in piedi la baracca ma pure a vendere dopo” e in questo caso credo che tutte le società di consulenza siano mediamente carenti perchè, banalmente, per saperlo devi aver avuto occasione di farlo più volte e continuativamente e non credo che sino ad ora ci fossero condizioni di mercato per riuscire fattivamente a far crescere risorse in tal direzione, ma, probabilmente tra un po’ di tempo ci sia arriverà sia grazie:
        – alle campagne acquisti, anche se di “BOMBER” da “comprare” ce n’è gran pochi
        – alla crescita naturale della “PRIMAVERA”, di giovini svegli adesso nel team ne ho diversi e, con a fianco gente da cui assorbire, messi a giocare in contesti super come i progetti internazionali che seguiamo, li vedo molto promettenti già tra 3 anni

        In conclusione direi che a seconda dell’approccio dell’azienda:
        – alcune continueranno ad essere parassiti del tessuto sociale,
        – altre bene o male arriveranno a completare la sfera del “FARE” coprendo (con i tempi tipici degli organismi conservatori) anche quella che adesso è ancora una nicchia con risultati probabilmente mediamente discreti e solo raramente eccellenti anche perchè, e qui passiamo all’ultimo punto
        – molti di quelli più bravi finiscono per avere propensioni/velleità imprenditoriali riducendo ancor più la rosa (e qui abbiamo anche esempi di illustri amici che hanno bazzicato in consulenza e poi si son rotti i c#### della politica) ma andando a rimpolpare la schiera di micro agenzie o partite-iva che solo in alcuni casi finiscono per avere una dimensione di reale interesse (finendo per diventare troppo parcellizzati e quindi di utilità per le aziende marginale se non si trova una formula per ovviare a questa deficienza)

    • 9 Luglio 2013
      Reply

      1) BWA-HA-HA-HA-HA-HA-HA-HA grazie sono lusingato anche perchè sai che ti ho considerato da sempre un numero uno del digital :)
      2) In passato mi hanno già fatto chiudere due blog in passato per cui evito sempre di mettere dati, nomi o riferimenti di sorta per evitare che mi killino pure questo: questo è un commento terzo per cui spero basti dare il tuo indirizzo all’avvocato di controparte :)
      3) A onor del vero non si può essere bravi in tutto per cui Accenture che va fortissimo su cose tipo la scalabilità delle soluzioni (gente che fa e-commerce multi-country, multi-currency e multi-language che crollano o che hanno bisogno di 10 persone per gestirli è pieno il mondo), il crm, strategia del network logistico (gente che pensa di attivare un nuovo magazzino internazionale dall’altra parte del mondo in 3) o l’integrazione con l’ERP (prova a fare i castelletti IVA in 10 paesi con un plugin).
      Man mano credo abbia avvertito l’esigenza, anche per star dietro al crescente numero di progetti e clienti, di assumere, da realtà eterogenee come agenzie o clienti pure-player, un numero crescente di esperti digitali che avessero un DNA che contaminasse ed arricchisse le competenze.
      Anzi! Siamo rpoprio in periodo campagna acquisti se ci fossero interessati scrivetemi

  2. 9 Luglio 2013
    Reply

    Però sarebbe “incinta”, non “in cinta” :-)

    • 9 Luglio 2013
      Reply

      Eh già non m’è mai entrato in testa: sarà per quello che ho abbandonato il settore puericultura per passare alla consulenza? :)

Rispondi a Gasp Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.