La tecnologia è l’elemento che maggiornemtne sta influenzando l’evoluzione antropologica e di conseguenza le esigenze e le aspettative delle persone. Naturalmente questo ha implicazioni commerciali.
Che l’esigenza di inserire il digital all’interno dei punti vendita è ormai un’evidenza ed una tendenza incontrovertibile che i retailer più sensibili stanno provando in diversi modi ad evolversi in questa direzione:
- alcuni esempi di digital signage con dei contenuti spesso inadeguati come pubblicità o presentazioni,
- altri dematerializzano il concetto di digital signage sfruttando i dispositivi mobile abilitati da qr-code,
- pochi hanno sviluppato servizi realmente utili, come IKEA.
Ora, proviamo a pensare a quale sia il ciclo di vita di un prodotto: lo si progetta in Italia, lo si fa produrre interamente o parzialmente in 2-3 paesi del far-east, lo si assembla eventualmente in Italia, lo si trasporta al magazzino centrale, lo si vende a grossisti attraverso operatori logistici, poi rimane in negozio sino alla fine della stagione ed, eventualemten, lo si rimanda al magazzino centrale per poi cederlo a stockisti.
Commercialemnte il concetto è simile, ci sono venditori B2B che vendono a quelli che saranno i venditori B2C che poi li rendono ai primi che poi li cedono a stockisti.
Questo va bene ha funzionato per decenni ma si basa su paradigmi vecchi ed un flusso di comunicazione frammentato, un telefono senza fili.
Una prima significativa innovazione dei paradigmi è stata apportata dal modello del fast fashion di ZARA o H&M, il digital ha l’opportunità di lavorare sulla seconda.
Eccouno dei video più suggestivi che abbia visto (se mi ricordo bene segnalatomi dal Bramb :)
Bel filmato ma un po’ un po’ troppo avveneristico? In realtà nei nostri laboratori abbiamo già messo in piedi un giocattolo molto molto simile, il “magic mirror“, per una catena retail .
Torniamo a qualcosa di reale, di pratico e che possiamo vedere in negozi a noi prossimi : guardiamo a cos’ha fatto Oakley e che si può trovatre in una selezione di punti vendita.
Oakley fa gli occhiali fighi che costano un milione di dollari, per intendersi quelli di Tom Cruise in Mission Impossible in Titanio super leggero eultra resistente.
Poi, per i poveri mortali e qeulli che gli sport estremi li fanno davvero e non li guardano alla televisione,produce la linea “affordable” che sostituisce il titanio al plastegon (come o ciamemo in veneto osti) che, per coprire il gap di nobiltà con il materiale della prima linea, deve pur inventarsi qualcosa.
Allora diventa molto colorata. E pure un po’ patacca, ma si sa, quando facciamo degli sport estremi la patacca ci vuole, perchè si sa che se metti una maglietta con le fiamme arancioni o un flumine fucsia vai molto più veloce. E’ scientificamente provato ;)
E quindi via libera alle patacche, il problema è il mix di colori.
Siete mai andati a prendere degli sci con una fidanzata che ne guarda 15 modelli tirando scemo il commesso per capire quale sia il migliore e poi prende quelli peggiori che ccostano il triplo solo perchè sono esattamente ddello stesso colore dela tuta?
Beh amagari con gli scarponi e gli sci ha meno senso perchè hanno del valore intrinseco dato dalla tecnica ma per uno totalmente fungibile come l’occhiale di plastica il cui unico valore aggiunto è il colore, il mix di colori in pendant con la propria tavola diventa un asset commerciale essenziale, solo che le combinazioni sono migliaia.
E qui arriviamo all’idea geniale, lòa foto è un po’ sgrausa perchè l’ho fatta con l’iPhone ma il corner è bellissimo: una postazione interattiva dove puoi configurare il tuo paio d’occhiali ideale. Asta fucsia, corpo verde, lente specchiata. Perfetto, anzi no, asta arancione. Salva, ordina, acconto, dopo una settimana ti è arrivato il prodotto in negozio.
Questo è un po’ come il pick’n’pay solo che incvece di farlo da casa tua lo fai dal negozio. Il vantaggio per il cliente è di interagire fisicamente con il prodotto, il vantaggio per il retailer è di avere un’assortimento praticamente infinito e di controllare in tempo reale che sia effettivamente evadibile risolvendo un sacco dei casini delle vendite a catalogo.
Insomma il famoso concetto della vendita della coda lunga dell’eCommerce dove i prodotti meno cercati sono moltissimi ed hanno una massa totale potenzialmente superiore ai top seller e di sicuro una marginalità molto più interessante.
Ecco l’eCommerce che entra in negozio e che man mano spazzerà via il concetto di piccolo negozio così come lo conosciamo, con un magazzino di invenduto e dei costi di gestione sempre più alti.
Se dovessi fare un film di fantascenza alla blade-runner lo ambienterei in vie scintillanti di negozi-vetrina che fungeranno da pic-up-point o funzionali all’home-delivery con sempre meno prodotti massificati per l’acquisto diretto.
Niente telefono senza fili lungo la catena distributiva, pochi agenti che vendono e non che riassortiscono, dialogo diretto con le linee di produzione.
Ultima osservazione in chiusura. Amici di Oakley bel lavoro, per carità, l’ho visto in due negozi, però, anche considerando al costo di ammortamento di postazioni simili, attenzione che se segmentate i negozi in base alla pedonabilità o al valore lineare espositivo, rischiate di fare un buco nell’acqua: prendete il bocconiano che vi ha fatto l’algoritmo di segmentazione e sparatelo in negozio a vedere le facce di 300 clienti priuma di selezionarli per un pilota. Due centri commerciali sulla carta identici, magari con un socio-demo assimilabile, se li piazzi a nord e a sud di milano diventano improvvisamente più o meno adatti per un pilota. Si chiamano persone e prima di essere clienti afferiscono a modelli aspirazionali differenti in base al contesto in cuicrescono (a sud sono convinto sia andato peggio che non a nord).
Il digital signage è morto lunga vita all’eCommerce!
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