L’eCommerce dei Poveri: se siete combattuti tra Catena del Valore e fichi secchi pensate al futuro e al successo

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Un po’ di giorni or sono al Decoded Fashion, ho sentito parlare Andrea Panconesi patron di Luisa Via Roma (uno dei maggiori eCommerce italiani indipendenti), pratico, intelligente, (grazie a Dio) bottegaio,uno che si sveglia e pensa cosa mettere in vetrina per deliziare i suoi clienti.
In poche parole ha detto che ha tratto il beneficio del first movers advantage provando, reinvestendo, strutturando un business tutto nuovo, buttandoci non pochi soldi dall’organizzazione alla tecnologia, al marketing.
E poi ha detto che se fosse partito l’anno scorso avrebbe dovuto spendere tanto tanto di più, 100 volte di più.
Parola di uno che ce l’ha fatta.

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A valle del suo intervento che ci ronzano in testa restano le due domande brucianti:

  • Ma se partissi adesso potrei farcela?
  • E soprattutto, se parto, quando ci devo mettere?

In paesi come l’Italia o in realtà più locali anche internzionalmente c’è la forte tendenza all’eCommerce con i fichi secchi.

Business case 1 – retail abbigliamento

Una delle insegne che preferisco aveva iniziato a da diversi anni a fare eCommerce con un sito in full-outsourcing da uno dei più noti provider di servizi eCommerce italiani non vendendo praticamente nulla, incidenza sul totale fatturato prossima allo 0,0…
Poi un illuminato nell’azienda ha tenuto duro e ha detto ragazzi proviamo a fare qualcosa internamente, tanto peggio di così… Ottimi risultati fatturato decuplicato in pochi mesi con una soluzione very basic, ed il potenziale è diventato immediatamente evidente al sensibile imprenditore che ha deciso, con metafora dal fisico, di passare da un negozio in corso buenos aires a una boutique davanti al Duomo.
Quindi un po’ come il patron di Luisa Via Roma, ha deciso di investire e strutturare il business.
Il potenziale è evidente, lo sforzo necessario è piuttosto chiaro ma la tentazione dell’eCommerce dei poveri è ancora in agguato. Naturalmente il potenziale del brand difficilmente può essere espresso con una piattaforma open source o una semplice piattaforma eCommerce ma davanti agli investimenti di una soluzione “Duomo” like, lo stopimolo di fermarsi “fuori mura” è forte.

Business case 2 – fashion brand

L’azienda chiamiamola Azzurra ha una buona penetrazione in Italia ma sta crescendo rapidamente in tutto il mondo con ottimi ritorni nei flagship store e riuscendo a posizionarsi ad un livello molto più alto che in Italia. Un risultato buono con potenziale internazionale importante, dove secondo me ha senso concentrare la maggior parte degli sforzi per garantire la crescita.
Ora cercherò di anonimizzare il più possibile: Azzurra ha come competitor potenziale naturale per posizionamento dei flagship in giro per il mondo Kate Spade o Michel Kors ma è basata nella ridente Trebaseleghe, quindi la proprietà ha come benchmark solo l’azienda Blu e l’azienda Celeste perchè sono basate a Noale e Salzano, e quando vado al Golf fanno a chi ce l’ha più lungo (il ferro 9 naturalmente).
I competitor naturali viaggiano alla velocità della luce i competitor del quartierino sono al palo, risultato il cliente esigente dei mercati in giro per il mondo restano delusi dalla povera experinece del brand.

Business case 3 – Luxury Group

Rullo di tamburi, partono con l’eCommerce totalmente slegati it e comunicazione ogniuno guarda agli affari propri mettono chi i requirement di piattaforma (che vien fuori bella quadrata e piatta anni 2000) chi la comunicazione con banneroni di comunicazioni un po’ atipici per i prodotti giusti di stagione.
Ops ma ci siamo dimenticati l’assortimento dei prodotti per l’e-commerce: i clienti provano a comprare ma non c’è nulla da vendere i pochi pezzi son finiti subito. Già non c’erano merchandiser senior che avessero fatto una gestione/proiezione assortimentale per country per canale.
Reazione scomposta, parte comunicazione a tutti i negozi del mondo per chiedere di mandare dei prodotti da vendere on-line: ma se voi foste un capo negozio e aveste prodotti di punta che venderete tutti nell’incombente Natale e prodotti fermi a prender polvere e doveste decidere di cosa liberarvi cosa mandereste al neonato eCommerce?
Bravi. Quindi sito pieno di cadaveri vendite moscissime e chiosa finale degli strateghi che dicono:”l’eCommerce non funziona perchè noi siamo trooooooopo lusso“. CAPRE!

sgarbi-capre

Nell’eCommerce ci riesci solo se ci credi.

Un po’ di giorni ad un altro evento (e a sto punto mi chiederete m questo non lavora mai?) fa mi hanno chiesto ad un evento: “ma quali sono le caratteristiche che le aziende devono avere per avere successo nell’eCommerce?, ci sono settoripiù adatti dov’è facile avere successo?” Mi ha portato un attimo a riflettere.
Di settori ce ne sono di più (turismo, insurance, fashion, …) o meno (food, b2b, design,…) maturi ma tutti hanno un buon poteniale da esprimere.
Quello che cambia è quanto ci creda l’azienda specifica.
Mi viene in mente un segmento in cui ho conosciuto bene praticamente i primi 2 player.
Uno fa dell’eCommerce asset strategico intorno al quale ha ridefinito tutti i customer journey, l’altro lo vede come un male necessario ha messo su una cosetta e lo tiene più nascosto possibile. La prima fa un botto di soldi e cresce guidata dai nuovi modelli di relazione con il cliente l’altra soffre un pò rimane identica a se stessa nei modelli distributivi e non riesce più a cresce in termini di awareness e mercato.

eCommerce on the edge

A ben vedere l’azienda ormai follower aveva tutte le carte in regola per essere una leader, è stato solo un problema di visione e di strategia.

Per riprendere il titolo provocatorio (che mi è stato ispirato da una delle mie pagine Facebook preferite “Baby George ti disprezza“) tutte le aziende di medie dimensioni e di discreto successo possono avere successo ma solo se non fanno un “L’eCommerce dei poveri”, e in più estenderei il concetto. Tutte le aziende di medie dimensioni e di discreto successo possono sperare di continuare ad avere successo nel loro business tradizionale in un arco di 5-10 (a seconda del settore) solo se faranno un eCommerce di successo integrato ai propri business model tradizioanli.

baby-george-ti-disperezza-poraccio

Il ruolo dell’eCommerce é cambiato molto negli ultimi anni, proporzionalmente all’evoluzione digitale del cliente (i clienti interessanti ed alto spendenti sono sempre più influenzati dal digital mix dei brand) è diventato man mano più importante influenzando il totale delle vendite dell’azienda in tutti i canali fisici, digitali, diretti, indiretti.

Se fai male l’ecommerce, se non accompagni il cliente con un mix sempre più digitale: fai brutta figura, per poco che spendi hai un ritorno dell’investimento negativo, perdi vendite, indebolisci il brand, scompari nello share of mind del cliente. E poi ti estingui.

Se fai bene l’eCommerce, è vero che devi investire un botto di soldi, ma: innanzitutto fai evolvere tutta la catena del valore (organizzazione,
infrastruttura, logistica, marketing , distribuzione, servizi …. ) aiutando l’azienda ad aumentare il valore competitivo ed il livello di competitività, cambiando la relazione complessiva con il cliente, comunicando in modo più frequente ma mai noioso, vendendo di più…

So what?

  1. Investire in eCommerce è sano e fa bene all’azienda tutta
  2. il modo in cui fare i conti è forse cambiato: se si ragiona con l’imprenditore dobbiamo ragionare in termini di azienda e di trasformazione della strategia invece che di giocattolino e test
  3. Purtroppo se state pensando di investire ora e di compiere ora questo tipo di trasformazione ahinoi mi sa che ha senso investire qualcosa in più per colmare il gap
  4. I ritorni possono essere più che proporzionali a buoni investimenti, i danni derivanti da scarsi investimenti, per contro possono essere catastrofici.

Porters-Value-Chain

State tutti pensando che la vostra leadeship non sia abbastanza illuminata? Boh magari, ma vorrei lasciarvi con un paio di spunti:
A) Le cose un po’ “trasformative” (lo so che non esiste ma secondo me suona…) necessitano di costanza e di champion (siate voi gli attori della trasformazione!), se non spaccate il c@###* voi dalla mattina alla sera nulla accadrà, fatevi artefici del cambiamento, convincete chi va convinto. C’è bisogno di giovani leoni.
B) I grandi cambiamenti hanno bisogno di solidità e di competenze, se vi circondate da scappati di casa non riuscirete in trasformazioni difficili, la tecnologia è l’ultimo dei vostri problèmi, capite cosa vi serve per aver successo, se vi servono competenze per avere successo avete bisogno di qualcuno che vi accompagni nella trasformazione.

Buona catena del valore a tutti

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2 Comments

  1. Marco
    4 Dicembre 2015
    Reply

    Eh, cavoli, che tristezza! Quando sento parlare di digital transformation mi viene la pelle d’oca, perché per quel (poco) che ho visto in Italia si riduce meramente a “dedicare un budget” e investire dei soldi per rinnovare un sito o da buttare nel media alla cazzo di cane sperando che il grande dio Internet pensi a tutto il resto. La realtà è che non basta questo, e neanche internalizzare la funzione… Ma riorganizzare i processi aziendali e accettare la filosofia “digital first” come parte del proprio DNA. Quindi mi chiedo: dove sta il problema? Mancanza di “visione” del top manager o mancanza di competenze dei manager di linea?

    • 4 Dicembre 2015
      Reply

      Qui rischiamo il pippone teorico ma secondo me in Italia siamo super conservatori, ho sempre fatto cosí, mio nonno, mio padre hanno sempre fatto così, perchè cambiare? Il tema del budget a comune a qualunque contesto ma quando bisogna firmare il budget a valle della lunga riflessione strategica risponta fuori l’animo conservatore e la penna non tocca mai il foglio :) li bisogna spingere un po’ e crederci :)

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