L’e-commerce fashion è strategico per le PMI ma non basta: dobbiamo puntare all’export !

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Purtroppo con la consulenza (e le continue trasferte tra Bologna, Roma, Prato e Dubai) ho sempre meno tempo di dedicarmi al blog e quindi alcuni argomenti restano indietro anche se avrei tenuto a parlarne come in questo caso….

Un po’ di tempo fa ho partecipato ad un evento sul fashion, presentazione tutto bene. Alla fine fui avvicinato da due persone:
Buongiorno lei e’ Gasparotto, vero?
Si Piacere, vi e’ piaciuto l’intervento?
Si si soprattutto la parte dei prodotti fatti in Cina di cui ormai i produttori non conoscono più nemmeno la composizione dei tessuti …
In realtà la conversazione è stata un po’ edulcorata, l’originale era caratterizzata da accenti e sonorità a me particolarmente care: i due erano imprenditori di un’azienda Fashion, se ricordo bene trevisana e io sono della provincia appena a fianco, Padova, che fa abbigliamento e che a me, peraltro, piace molto.

Il sito è Lazzari una PMI Fashion che produce nel nordest ed esporta in Cina.
(Già che ci sono per ripagarli dello sfruttamento abusivo della bella rossa in testata gli piazzo un po’ di link-building che non fa mai male per il SEO)

Erano venuti all’evento del Netcomm non tanto per la notorietà dell’associazione o per il prestigio del brand che sponsorizzava l’evento ma perchè è gente che lavora e che, alla fine è incappata in questo blog e l’ha trovato utile.
All’inzio me l’ha fatto vedere e ho detto va ben sempre le solite cose ma poi alla fine mi è piaciuto e ho iniziato a leggerlo.

Non vi sto a dire che piacere mi abbia fatto’sto discorso perchè, oltre ad aver appagato il mio egocentrismo, in teoria è proprio questo il motivo per cui mi cimento nelle notti in bianco a scrivere post: mi piacerebbe essere utile a qualcuno che si fa un culo così, che è curioso e che ci prova.

… che voi qui a Milano non la sentite tanto ma c’è una crisi che dalle nostre parti pare una guerra. Una GUERRA! -ricordo enfatizzo- I capannoni son tutti chiusi e nelle zone industriali-commerciali la gente non vende.
…e quindi quando tutti intorno ti chiudono si presta maggior attenzione a tutte le vendite.

Analizza, spippola, esplora han capito che “Ci sono dei cinesini che comprano sul nostro sito e rivendono in Cina ! E quindi noi vorremmo espanderci anche in quel mercato e l’e-commerce potrebbe essere il canale giusto.

Anzi Giustissimo, direi io!

Basta guardare gli ultimi dati del politecnico: il fashion cresce tantissimo, soprattutto in APAC e la bilancia dell’export è sottissimo.

Solo che come c@##0 fa una PMI ad andare in Cina ?

In Francia (ah chiariamoci per me l’Italia è il paese più bello del mondo e gli altri son tutti st[ò##] quindi non sto a far l’elogio degli altri, dei francesi poi … ) ci sono delle associazioni di categoria che hanno fatto banalmente dei contratti quadro con operatori logistici locali per giocare sui volumi aggregati e ridurre il costo di accesso ai mandatori servizi con partner locale.

Una PMI Italiana di componentistica avanzata ha aperto una sede distaccata a Nizza, così ci fanno le vacanze estive, e spedisce in Cina dalla Francia.

E se un povero Cristo volesse fare le cose per bene senza raggiri elusori?
In Italia un ciufolo, ci devi pensare da solo o sperare che una qualche associazione, che però, a che mi risulti, di sovvenzioni non ne becca, ti aiuti.

Come ci insegna Pambianco, di brand pseudo fashion che dichiarano di essere Made-in-Italy ma che poi assemblano parti estere, in Cina, son già piene “delle” fosse. Non “le ma “delle”, low quality, quando sgamato muore istantaneamente.
Molti brand che si sono conquistati una popolarità sono stati puniti dai mercati Asiatici perchè si era diffusa la notizia che parzialmente prodotti in Cina stessa.
YSL ha rimosso il logo, uno dei più iconici di sempre, proprio perchè era stato troppo imitato e i l prodotto nella percezione di quel mercato era inflazionato.
Il Cinese ricco non vuole la cinesata, vuole calzature cucite col sudore di un operatio residente in Italia: il contrappasso dei famosi palloni da calcio della Nike. Ed è appena l’inzio.

Che noi lavoravamo anche per XXXX che conosci bene, però poi han chiuso la produzione italiana e hanno iniziato a produrre tutto fuori.

Torno al caso specifico che di teoria se ne fa fin troppa. Lazzari secondo me è un prodotto carino, fatto bene ma soprattutto particolare.
Lo vedi e ha uno stile, roba che esprime un carattere e può crearsi una nicchia. Roba che a investirci due lire e ad aver un Angel potrebbe costruirsi un posizionamento, ma come si fa?

Solita ricetta di cosa serve per fare un e-commerce elevandolo a potenza se internazionale:

  • una logistica che abbia:
    • una strategia che parta dal forecast dell’allocazione dello stock centralizzata o localizzata e relativo immobilizzo di capitale che si svaluta stagionalmente
    • costi di movimentazione cross-border e sdoganamento
    • un vettore locale che sia in grado di coprire il territorio (in Cina non è banale in Brasile raro) e non farsi strafottere dai frodatori (che in Russia sono un bel problema ma in Brasile sono una certezza)
    • Una strategia di smaltimento di stock invenduto (che vi prego non siano le flash-sales)
  • La customer experience di cui bisognerebbe parlare approfonditamente ma darei giusto un paio di suggestioni (ma se volete leggere un articolo di approfondimento su cosa significhi “localizzare un’interfaccia” vi consiglio un bel post da cui peraltro ho rubato le immagini esemplificative):
    • le traduzioni sono uno dei primi fattori per portare traffico (sempre passibili dei criteri di ottimizzazione sui motori del caso) ed aiutare a convertire: il Cliente dev’essere coinvolto e, se vuole comprare Made-in-Italy, convinto che il prodotto sia della qualità ambita sia per lo stile che per i materiali che per i processi produttivi (schede prodotto di livello con belle traduzioni in lingua).
      Senza andare sul cirillico basta pensare al tedesco che basa la grammatica sulla crasi di parole per avere fields e label che sporano da tutte le parti.





    • Se poi dal cirillico andiamo fino in Asia la progettazione dell’interfaccia potrebbe necessitare una revisione in base al tipo di interazione persona-device cambiando l’orientamento della fruizione di certi contenuti: banalizzo ma di solito in certi paesi APAC imaprano a leggere dall’alto al basso da destra a sinistra e questo viene puntualmente ignorato dal designer nostrano. Potrebbe idealmente essere utile attivare un template localizzato (disponibili anche in piattaforme open-source) con alcuni accorgimenti nel menù e nei componenti di comunicazione principali.
  • Gli aspetti fiscali. Quando si superano soglie di fatturato anche nell’amichevole Europa, è necessario iniziare a strutturare una serie di rappresentanze fiscali, in altri paesi hai necessità di partner locali e sapere bene quali siano i criteri per sceglierli e valutarli. Attenzione che è pieno di smooth criminals che non vedono l’ora che arrivi l’occidentale, novello Marco Polo, in cerca dell’oro per spremerlo come un limoni.
  • Il direct marketing non ha partner globali affidabili, pochi sono davvero bravi a lavorare nei diversi continenti, per cui devi moltiplicare costi e sforzi cambiando totalmente il business-case dell’e-commerce internazionale.

Persone che lo abbiano fatto davvero e che possano dare una consulenza sensata ce ne sono davvero poche, sono una risorsa limitata.

E QUINDI? ste povere PMI:
-Finiscono nelle mani di uno scappato di casa che non capisce niente e non ha visto la Cina nemmeno in cartolina e gli fa buttar via tutti i soldi?
-Provano ad attivare un Taobao provando a fare uno store come Uniqlo ?
-Vanno a farsi rapinare da uno Yoox del caso che gli affibia un corner di The Corner e gli fa vendere di meno dei cinesini che li rivendono come menzionato di propria sponte?

Crisi? Disoccupazione? Frottole !

Invece di preoccuparci di quei due milioni e mezzo di giovani lazzaroni che non lavorano e che non studiano perchè sognano di fare i reality (tanto se la voglia manca non ci fai nulla), diamo dei soldi e un po’di know-how a dei Lazzari (così poi i quando quegli altri finiscono i soldi di papà trovano un tessuto produttivo).
Magari nemmeno quello, che quelli che tirano avanti le PMI con le unghie e coi denti i soldi di altri non li vogliono: preferisce farseli da soli, gli basterebbero due infrastrutture, che li aiutino a combattere quella “GUERRA” che sta mietendo PMI, senza tanti “magnaschei” (sempre per dirla con l’accento a me caro).

Buona internazionalizzazione a tutti :)

Anche tu stai pensando di percorrere la via della seta virtuale? Segui gli aggiornamenti del blog su FB facendo un semplice like, a me farebbbe molto piacere :)

11 Comments

  1. Sara
    4 Giugno 2013
    Reply

    Ciao Federico,

    interessante articolo e mi trovi d’accordo sulla maggior parte dei punti, ma vorrei proporti alcune domande/commenti.

    Pensi davvero che aprire un ecommerce in Cina sia una strategia di espansione efficace per una PMI? Mi spiego, al di là delle innegabili difficoltà elencate nel post, credo vi siano anche altri dati da considerare, una volta installati in Cina infatti, bisognerà fare i conti con alcune cifre. Attualmente in Cina vi sono circa 485 milioni (2012) di utenti internet contro i 28 milioni dell’Italia (2012), di cui circa 194 milioni sono utenti ecommerce (2012). Si pone un primo problema, come può una PMI italiana con poco o nessun conoscimento del mercato cinese strutturarsi per affrontare una domanda potenzialmente molto elevata?

    Certo, bisogna poi considerare, che senza delle attività ben organizzate di marketing diretto, si vende poco anche in Cina. Essere italiani e avere un buon prodotto non è assolutamente sufficiente. La mia esperienza in Cina mi ha insegnato che più che in ogni altro paese la qualità o il valore estetico del prodotto hanno ben poco a che fare con la sua popolarità, ciò che più conta è l’immagine del marchio. La crezione di una brand awareness che stia alla base di tutte le altre operazioni necessarie a generare traffico richiede investimenti importanti in risorse umane altamente specializzate (ciò che funziona in Italia NON è replicabile in Cina, la traduzione non può che essere solo l’inizio), e strategie web. Con un livello di investimento delle PMI italiane in costante calo, come si può pensare di sbarcare in Cina senza che farsi molto male?

    Credo di poter affermare e correggimi se sbaglio, che il livello di sensibilità in Italia rispetto a quello che è il mondo del web è ancora molto basso (per proporre un esempio banale ma indicativo, mi é capitato diverse volte che le PMI richiedessero materiale informativo via fax o in versione stampabile perché il CEO non legge le email!!) e i motivi sono molti, soprattutto strutturali. Sicuramente non é il caso Lazzari, che ha un ecommerce qualitativamente superiore alla media, ma non pensi che in generale vi sia un grosso problema di competitività delle PMI italiane perché possano sopravvivere alla Cina?

    La presenza di infrastrutture che facilitino l’internazionalizzazione é sicuramente cruciale, ma per sperare di avere successo in Cina vi sono a mio avviso vi sono alcune operazioni fondamentali da compiere lato PMI, in primo luogo quella di allocare gli capitale a favore della promozione della competitività.

    In questo senso, allacciare collaborazioni con professionisti globali del direct marketing, (che forse scarseggiano a livello italiano, ma sicuramente non a livello europeo) é fondamentale, ma in un momento in cui l’investimento è al ribasso, il rischi di finire in mano “agli scappati di casa” é quasi una certezza che spesso è indice, sí di un periodo di difficoltà economica generalizzata, ma anche di una miopia molto “italiana”. (Leggevo giusto ieri l’articolo di un blog di cui ti lascio un estratto: “Andai a trovare un’azienda che mi aveva cercato, perché qualcuno aveva parlato bene di me. Volevano un bel sito. Di fronte alla mia analisi e al mio preventivo, il titolare mi rispose con quella frase che vedete nel titolo: “Mio nipote mi ha detto che con 50 euro me lo fa”. “E allora fattelo fare da tuo nipote.”)

    Per concludere, é ovvio che se un “Lazzari” vuole andare in Cina, deve essere supportato, come accade in Francia, ma siamo sicuri che la Cina non costituisca un’arma a doppio taglio (con il richio di essere schiacciati da un mercato che non sono in grado di gestire)? E siamo sicuri che le PMI italiane abbiamo i numeri necessari per, una volta sbarcati, riuscire ad essere sufficientemente competitive?

    A presto,

    • 4 Giugno 2013
      Reply

      Ok approvo subito il post ma la risposta te la voglio dare con calma: ti scrivo nei prossimi giorni…

    • 4 Giugno 2013
      Reply

      Ciao Sara,
      in questo post sono partito da un caso specifico: un brand che sta già vendendo in Cina anche se tramite un canale poco ortodosso e di imprenditori che hanno già preso la decisione strategica se andare o meno.

      Quindi scinderei la risposta in:

      • 1) Scelta strategica di internazionalizzazione
      • 2) Implementazione del modello operativo

      1) Scelta strategica di internazionalizzazione

      Andare in Asia è come, anche per le aziende più solide in Italia, aprire una startup con tutte difficile e costa un botto, se fatto male e con pochi investimenti non si va da nessuna parte con una serie di barriere legali, economiche (in cui faccio rientrare anche i concetti di diffusione del brand) e organizzative rese ancora più difficili del solito.

      E quando dico Starup intendo letteralmente – Business-case spicciolo: Moet & Chandon a un certo punto di sbarcare in CIna ma è arrivata in un mercato dove una marca misconosiuta di champagnino orribile si era già posizionata come first-mover e ha dovuto spendere l’ira di Dio per riuscire a crearsi un posizionamento investendo centinaia di milioni. Alla fine ce l’hanno fatta.
      Il brand misconosciuto che adesso ha ridotto molto le quote, però c’era riuscita già in tempi non sospetti riuscendo a creare un mercato con investimenti relativamente limitati.

      Ma essere imprenditori significa essere pure un po’ incoscenti, essere talmente innamorati della propria idea che si getta il cuore oltre l’ostacolo che si decide che comunque ce la si farà.

      Only the brave! E i vecchi leoni che non leggono le e-mail spesso lo sono.

      E’ un ruolo molto differente da quello del consulente il quale si deve limitare a porre tutte le giuste domande per dare la piena consapevolezza del rischio e preparare la struttura ad affrontarlo.

      Ma i Rischi non si possono comunque eliminare e se li accolla l’imprendiotre: tanti sino ad ora hanno fallito, alcuni ci sono riusciti anche perchè hanno trovato persone coscienziose che hanno aiutato a trovare la strada.

      Ciò detto di solito sconsiglio ai vari leoni di lisciarsi la criniera dall’altra parte del mondo ma mi è anche capitato di trovare dei casi in cui valeva la pena, eccome (in modo misurabile e proiettabile con un modellino simile a quello nella Slide 28 di una presentazione che avevo creato proprio per il Fashion).

      2) Implementazione del modello operativo

      Quelli che sono andati e ci sono riusciti sono di base di due tipi:

      • Quelli che hanno investito tanto e bene e hanno trovato i partner logistici, finanziari e distributivi giusti.
      • Quelli che hanno trovato soluzioni alternative/atipiche come nuovi centri commericali che puntano al second-tyre per la neo-borghesia e non necessariamente ai super ricchi o ai mini-store aperti in contesti strategici.

      In entrambi i casi hanno:

      • Avuto una persona di livello e di fiducia che ha preso il valigino ed è andata la e ha capito chi fossero le varie figure tipo “il gatto e la volpe”.
      • Hanno compiuto una frattura epistemologica e hanno cercato di cambiare il modo in cui hanno approciato il business.

      Morale (e riprendo il business-case spicciolo):

      • che tu sia un brand misconosiuto o il più fico del mondo a prescindere dal budget se fai male i tuoi conti, fallirai.
      • se sei un criceto ma vuoi fare il leone in una foresta ostile, probabilmente fallirai
      • Se vai a fare l’italiano in Cena e ti lamenti perchè gli spaghetti di soja non sono buoni all’amatriciana, fallirai
      • se provi un percorso che altri hanno fatto con successo, magari migliorandolo un po’, sarai un follower, magari pure felice
      • se ti affidi a un gatto e a una volpe italiani cinesi inglesi che siano che ti dicono “io della Cina ho capito tutto“, i miei sentiti auguri
      • se provi nuove strade, magari ce la fai pure se non sei enorme ed il gioco potrebbe valere la candela

      ciao
      Gasp

  2. Sara
    5 Giugno 2013
    Reply

    Ciao Federico,

    grazie per la risposta,
    mi trovi pienamente d’accordo.

    Il caso Moet Chandon credo sia indicativo di un po’ tutta la realtà food&beverage (mi sento di citare anche Lavazza per esempio.)

    Devo dire che io non ho esperienza diretta in quello che il campo della moda, tuttavia é sicuramente cruciale ció che segnali, ovvero che coloro i quali sono effettivamente riusciti nell’intento di internazionalizzazione sono quelli che sono stati in grado di trovare soluzioni alternative, legate ad un target che non è la Cina, bensí il second tyre della periferia di Shanghai o la popolazione expats delle grandi città cinesi, come nel caso Lavazza (considerazione forse banale, ma a volte non così scontata).

    In quest’ottica, condivido appieno la tua analisi. Una retail start up tradizionale, che attraverso un costante sistema di check and balance vada evolvendo verso la multicanalità, potrebbe a mio avviso essere una soluzione più consona per l’espressione del nostro vantaggio competitivo, piuttosto che magari un ecommerce puro e duro.

    e…avanti i leoni!

    Grazie e a presto,
    Sara

  3. Roberto
    5 Giugno 2013
    Reply

    Buongiorno Federico,

    spero tu stia scherzando a riguardo dei 2,5 mio giovani lazzaroni…, data la tua propensione alla forte ironia.
    Invece hai ragione se ti riferisci a vecchi ex-dirigenti che ne hanno piene le palle di lavorare, soprattutto per quelle PMI del tessile-abbigliamento che, a mio modesto parere, sono rette in gran parte da gente che non capisce una mazza.

    Roberto

    • 5 Giugno 2013
      Reply

      Ciao Roberto,
      in effetti l’uscita dei “giovani Lazzaroni” era espressa con ironia e credo vada spiegata.

      Quando ho scritto questa frase avevo sentito gli ultimi proclama del governo che diceva di voler investire in incentivi per la creazione di non meglio identificate come se basti fare una campagna di comunicazione in cui si dice “Hey tu giovane lavorare è bello” e quelli iniziano a fare qualcosa che, per i più svariati motivi (dalla mancanza di voglia alla mancanza di alternative lavorative decenti) non avevano fatto mi sembra insensato….

      Per creare lavoro è necessario creare un ecosistema economico fertile. Per fare questo attivare il contratto a progetto o l’apprendistato è un paliativo poco efficace, è necessario invece aiutare le aziende ad essere più competitive per creare più domanda e quindi occupazione.

      In conclusione se avessi mille lire da investire per far lavorare i giovani farei in modo che le PMI riescano ad accedere ai mercati esteri (creando un indotto di copywrighter, traduttori, marketer, magazzinieri specializzati) o creando un sistema che certifichi e valorizzi il 100%-made-in-italy (che stimoli l’assunzione di forza lavoro italiana e non delocalizzata) invece di spendere in “Hey tu giovane lavorare è bello”.

      Che ne dici? Contestualizzata è accettabile?
      ciao
      Gasp

      • Roberto
        6 Giugno 2013
        Reply

        Perfetto, chiaro, sono d’accordo.
        E’ tutto un sistema (Italia) che è bloccato, in tutte le sue componenti e che non sogna più e non si impegna più.

        Permettimi di chiarire la mia uscita sulle “palle”, adesso.

        Sono stanco di sentire Squinzi e compagnia lamentarsi e chiedere chiedere alla politica, senza mai fare autocritica e riflessione su se stessi.

        A fianco di molti imprenditori seri (anzi, entrepreneur all’americana, quelli che hanno una predilezione per la sfida, per l’innovazione, per il rischio ragionato, che hanno una propria spinta interna, che credono nella propria individualità e contemporaneamente nel gruppo di lavoro da dirigere) ce ne sono troppi che vivacchiano, magari bene nella loro nicchia, e che non sognano più e si accontentano della loro Ferrari con targa del Canton Ticino.

        Ecco, di questi ultimi, che credo siano maggioranza (o no?, non ne posso più, non riesco più a lavorarci assieme.

        Ciao e grazie

        RG

        • 6 Giugno 2013
          Reply

          Il tema secondo me è che se anche si ha la Ferrari targata canton Ticino se non ci si muove subito, con le dinamiche di mercato attuali si rimane presto senza benzina e senza più lordi su cui evadere le tasse…
          :P
          Gasp

  4. 20 Ottobre 2013
    Reply

    Ciao Federico,
    abbiamo visto il tuo intervento su “Lazzari” (siamo i due del dopo evento di Milano: il padre ed il figlio, l’altra metà (non lo spitito santo..)della famiglia mamma e figlia era a casa a disegnare e a produrre vestiti in azienda). Abbiamo letto e molto apprezzato il tuo intervento, hai capito al volo chi siamo come siamo e qual è il problema. Noi siamo partiti come azienda di produzione poco meno di quarantanni fa e da 20 anni abbiamo cominciato ad aprire negozi (5, in buone posizioni nel nord-est), da circa 12 anni eravamo presenti sul web e da circa 4 abbiamo cominciato con l’ecommerce. Diciamo subito che dopo la guerra, che i più ottimisti chiamano crisi, che ha travolto il nord’est e l’Italia per fortuna abbiamo la vendita on-line altrimenti la nostra azienda, che era un bella giostra che funzionava bene fino a tre anni fa , ora rischierebbe la sopravvivenza. Noi comunque siamo determinati a tener duro, e non vendere l’azienda ai cinesi (ce l’anno chiesto…). Dalla nostra parte, come vantaggio, una struttura di produzione artigianale agile con pochi costi e quindi un rapporto qualità prezzo buono senza peraltro ricorrere ai laboratori cinesi.
    A capire che i nostri sono prodotti freschi che non hanno l’aspetto e l’origine cino-rumena per primi pare che siano i cinesi: il 70 per cento dell’on-line va in Cina e Russia, sino ad adesso in modo un po’ naif: varie cinesine dalla Francia, e ora anche dall’Italia comprano e spediscono da casa loro.
    Per lo stock il costo relativo non abbiamo problemi, peschiamo nei magazzini dei negozi e, quando possibile riassortiamo velocemente. Quello che ci mancava era l’ angel. Alla veneta, come tu ben sai, si cerca di arrangiarsi perché nessuno ti aiuta: i consulenti sono quelli che la Cina l’hanno vista in cartolina e le associazioni di categoria o le camere di commercio lasciamole dormire il loro sonno profondo (fin che ghe schei). Noi il piccolo angel l’abbiamo in casa : è il figlio di un nostro collaboratore/famigliare che si è laureato in Cina, è in Cina da 5 anni, adesso vive a Shangai, si sta cercando un lavoro e nel frattempo ci ha tradotto il sito con la sua morosa cinese e intanto si sta guardando intorno per organizzarci una piccola logistica (magari nell’angolo del salotto) . Bisognerebbe che qualcuno aiutasse il piccolo angel a crescere, lo stiamo cercando noi qua e lui lo sta cercando in Cina…
    Per il resto non siamo di Treviso (il nostro sito è Lazzarionline quello di Treviso è Lazzariweb, lui non è un produttore, è solo uno spacciatore di “acqua di Parma ), siamo a due minuti dal casello di Soave e … se passi e ci vieni a trovare ti garantiamo un rifornimento di vino Soave.
    Ciao e grazie, grazie ancora per l’interesse verso la nostra piccola storia.
    Araldo e Nicola

    P.S. Il tuo articolo ci è sfuggito era un po’ che non giravamo nel tuo blog. Prova a guardare
    questo che racconta la deindustrializzazione della valpadana e dimmi se ti piace: http://www.frizzifrizzi.it/2013/10/15/jeans-a-kilometri-zero/

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