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I 10 errori del Digital-Marketing più comuni e come correggerli con i modelli di attribuzione.

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Mi è capitata una grande azienda che ha investito alcune centinaia di migliaia di Euro per mettere in piedi l’e-commerce e poi ha cercato un e-commerce manager laureato con esperienza che prendesse un ral di € 32.000, dicendo lo preferisco vispo e affamato che cresca.

Un bel “stay hungry” del ciufolo perché tanto impara a spese tue, e poi, quando ha imparato davvero se ne va in un’altra azienda un filo meno miope e ti lascia tutti gli errori di impostazione strategica che non ti faranno mai convertire (quell’impostazione che spesso deriva da una sbagliata interpretazione dei dati, quell’interpretazione semplicistica che spesso deriva dall’inesperienza, alla faccia del rasoio di Occam).

In realtà ci sono tante varianti del tema, tipo aziende che ri-convertono gente che non puó licenziare o, visto che non può licenziare non può nemmeno assume e finisce per terziarizzare e così via….

Sta di fatto che, dopo che uno ha messo in piedi l’e-commerce parte la vera sfida di riuscire a fatturare. Certo i fattori possono essere molti, un cattivo posizionamento di prezzo o del brand, una politica di trading e di acquisto dello stock tradizionale, e molto altro, ma per oggi darei per assodato che tutto il resto sia giusto e mi focalizzerei sulle politiche di digital e direct-marketing.

Temi simili li avevo già affrontati nei post sul customer-journey, il roi del direct-marketing e sulla deduplica, perchè sono tra i miei preferiti ma oggi riprendo quei temi e provo a dare una prospettiva un po’ diversa.

Tra il pianificare e il vendere sta di mezzo il…

Innanzitutto bisogna che ogniuno di noi provi a capire il suo cliente: a quali e quanti cluster ci stiamo rivolgendo? Vecchi, teenager, uomini, donne, ricchi poveri, etc… Ok non divaghiamo, capiamo i 2-3 segmenti quali sono e proviamo a capire tutti i customer-journey e tutti i touchpoint rilevanti per le differenti abitudini di consumo:
1) cosa scatena il tipo di bisogno che muove la persona all’acquisto – è una necessità reale o indotta, è un acquisto di sostituzione, di consumo, estemporaneo, etc…
2) dove si origina la ricerca per il soddisfacimento del bisogno – guarda con invidia l’amica che fa girare la testa del fidanzato, cerco la spiegazione tecnica di un prodotto che non si dovrebbe rompere dopo solo pochi mesi che l’ho comprato, si fa ammaliare da un wallpaper con una modellona ammiccante, ….
3) quanto tempo ci metterà a decidere cosa acquistare – banalmente, di solito più è costoso e complesso più tempo ci vuole,
4) quali e quanti messaggi ci vogliono per convincerlo.

I 10 errori del digital marketing più comuni:

Aziende diverse, per dimensioni e settori merceologici, hanno esigenze e una concezione del mercato diversa che finisce per essere il fattore distorsivo che determina il tipo di errore compiuto, proviamo con qualche esempio.

Errore 1: Branding a tutti i costi

Banner belli, fighi, fighissimi. Formati impattanti, addirittura intrusivi, quelle robe che fai prima a cliccarci che a girarci intorno. Video che te li devi proprio vedè tutti prima di arrivare alla notizia del momento.
Una settimana fa sono letteralmente impazzito quando ho scoperto che Uma l’ha finalmente data all’orribile Quentin dopo 20 anni di corteggiamento: una notizia pulp, molto pulp, pure troppo. Solo che per vederlo con i miei increduli occhi da San Tommaso mi è toccato sorbirmi un video orribile della Citroen, una delle marche più sfigate sulla faccia della terra … Me lo ricordo ancora, si, ma ti assicuro non in modo positivo: Amico product-manager ma sei sicuro di aver speso bene i tuoi soldi a pianificare come un dannato sulla home del corriere?
Non siamo più negli anni 90 puoi trovare altri modi di pianifica re il budget per trovare gente in target.

Errore 2: Non ho un brand ho un lovemark

Uno degli errori piú comuni di chi c’ha la testa da comunicazione tradizionale è di puntare tutto ed esclusivamente sul proprio brand. Addirittura investono cifre imbarazzanti sulla propria keyword di brand, pure convinti ( complice google che pur di vendere un click in piú ti racconterebbe la qualunque) che questo abbia un buon ROI: se sei “Superstraf” e uno cerca proprio “Superstraf” è molto probabile che il tizio abbia giá compiuto tutti i 4 passaggi del percorso d’acquisto adescato, influenzato e convinto da altro.

Errore 3: E-mail marketing a tutti i costi

Altro errore agghiacciante “Il canale che mi converte di piú è l’e-mail, investo solo in quello” per poi sentire gli stessi dopo un paio di quarter saltar fuori sul fatto che le vendite non crescono.
E’ vero che se calcoli il ROI con il last-cookie-win troverai delle buone performance ma attenzione, si sta perseguendo una strada troppo autoreferenziale che non mira alla crescita e che dopo un po’ fa avvizzire il business.
Ancora una volta è vera la super-pippa che costa meno riattivare un cliente che acquisirne uno nuovo ma A)il concetto di riattivazione è solo il quarto passaggio, B)il valore del cliente nel tempo (Customer Life-time Value CLV)se sono stato debole negli altri 3 prima non converto, semplicemente perchè il mio cliente si è già innamorato di qualcos’altro, è già stato convinto da qualcun’altro.
valore del cliente digital canale

Errore 4: Performance a tutti costi

Se da un lato ci sono quelli che fanno solo brand ci sono i fan della coda lunga ( e se devo rientrare in un girone mi sa che rientro in questo). Le key-word complesse, le ricerche con combinazioni di caratteristiche, i codici prodotto, il retargeting etc etc, riesce ad abbassare il Cost-On-Sale ( altrimenti detto A:S o PPS, in definitiva il costo percentuale d’acquisizione rispetto al totale venduto che impatta sulla marginalità netta) fino, a seconda del canale e della merceologia, ad un 1,5-2,5% ( più è basso il numero più siamo contenti).
Di base più è raffinata e complessa la ricerca più verso il fondo dell’imbuto di acquisizione ci siamo mossi, intercettiamo solo i clienti che hanno praticamente deciso strappandoli ai competitor.
È una bella tattica, fa fare vendite e tornare in nero il bilancio del quarter, ma, in quanto tattica, resta pur sempre di respiro corto, non ci posiziona nei confronti del cliente costringendoci all’eterno inseguimento e a una politica di sconti progressiva, perchè quell’ultimo miglio prima del traguardo è il più duro.

Errore 5: Credo a quel che mi dice Google Analytics

GA è un buon tool ma molto basico e di sicuro vale molto rispetto a quel che costa…. Va bene per capire se si stanno avendo visite, traffico, picchi, ma non è affidabile sotto a nessun punto di vista, a partire dal campione di rilevazione ( sbagliato concettualmente, non posso rilevare uno ogni tanto li devo rilevare tutti uno per uno), ai criteri di attribuzione della vincita, al metodo di analisi per merceologia praticamente assente e via discorrendo.
Certo è comunque settabile in modo da ovviare a tanti dei limiti endemici, ma nessuno piglia un tool gratuito per poi spenderci un botto su, e a quel punto meglio prendere un analitico come si deve per pochi k l’anno, anche perchè se uno analizza le vendite sulla base di dati imprecisi rischia solo di farsi delle gran pippe mentali.

Errore 6: gli amanuensi del digital (ma a che mi serve un’agenzia?)

Nell’era digital-mèdioevale ancora esistono gli amanuensi che all’automatizzazione (che spaventa le menti semplici) preferiscono una gestione della campagna simile alla pianificazione tradizionale buttando su creatività una volta ogni due settimane, che poi, dato lo sforzo, diventano un mese e che poi finiscono nel dimenticatoio.
Signiori siamo nell’epoca del Real-Time e la tempestività è diventata la nuova leva competitiva, continuate così e siete fuori dal mercato.
Spesso chi adotta quest’approccio lo partendo dal presupposto de “Ma tanto che valora mi porta un’agenzia? prende due stagisti e li mettere a fare campagne, tanto vale che me lo faccia da solo“… che poi è tristemente vero per molte agenzie piccole e per i clienti piccoli delle agenzie grosse, ma: non dovrebbe essere così per cui, piuttosto, fate le pulci all’agenzia, perchè l’agenzia dovrebbe avere già una serie di processi e strumenti che dovrebbero aumentare drammaticamente l’efficenza e l’efficacia dello stagista famoso. Se sono degli amanunesi anche loro, cambiateli.

Errore 7: Attivare un nuovo canale mi rischia di costare troppo

Tante volte ho sentito clienti che per pigrizia o per scarsa comprensione della natura dei processi di gestione (amanuensi del punto precedente) preferiscono attivare pochi canali: “Così li gestisco meglio” o “ma siamo sicuri che mi faccia abbastanza vendite in più” …
Il digital è un ecosistema complesso fatto di tanti fattori,riuscire ad ampliare la propria presenza influenzandone il più possibile è uno dei fattori di successo.
Non esistono canali che non funzionano, esistono solo canali usati male. Certo il rischio di non avere drammatici picchi di vendite è concreto, ma in tutte le nicchie c’è del potenziale e noi dobbiamo poterlo cogliere certo non in modo scontato, magari creando campagne ad hoc o contenuti adatti o facendo analisi molto granulare del traffico per capire quale sia l’esatto segmento con potenziale, ma la chiave c’è sempre.

Errore 8: Prodotto senza storia

Il contenuto in termini di copy e di immagini è sempre più importante, cercare di puntare solo sul prodotto (e questo vale dal fashion al consumer electronics) è riduttivo e non abilita l’accesso a quell’ecosistema complesso fatto, soprattutto di contenuti.
Parlate del nuovo trend e del colore, come si usa. Spiegate una nuova tecnologia facendola calare nella quotidianità del cliente. Create contenuti che piaceranno ai motori di ricerca, ma anche ai blogger,al social e, in definitiva, al cliente da conquistare.

Errore 9: Social che passione

Il social è una sola. Almeno lo è per chi deve vendere. Ha un importante ruolo di riattivazione del cliente e di contatto continuo che ha una serie di valenze di cui non penso di parlare oggi ma per vendere non va tanto bene.
Ci sono una serie di casi in cui si riescono a fare vendite ma sono più iniziative tattiche che strategiche, ad esempio va bene per la pianificazione dell’acquisto dei consumabili (ricariche, gambling spicciolo, pannolini) ma meno per l’acquisto di prodotti veri e propri.

Errore 10: Tanto ho già un sacco di clienti / tanto ho già un sacco di visitatori

Questo è comune quando si parla con i vari boss delle grandi organizzazioni ed è da considerare la semplificazione massima: “ma io ho già un brand leader che muove milioni di persone, li porto pure sul sito Taaac che ci vuole ?
Ci vuole un sacco. La gente non cambia canale o abitudine di consumo se non per buonissime ragioni per cui spostare un cliente da fisico a digital o anche solo da una digital property a un’altra ( es dal sito corporate a quello di prodotto o dell’e-commerce) è una fatica improba, costa quasi di meno acquisirne di nuovi.
Tutti i business-case e-commerce che si basano su questo sono destinati a una sorte pessima.

Impostare una strategia di digital-marketing per l’e-commerce di successo in 3 mosse.

Certo quella delle tre mosse è una sparata semplicistica un po’ alla ‘mericana che fa presa sulle menti semplici ma a questo punto serviva un messaggio forte per cambiare marcia per introdurre l’approccio metodologico ideale:

1) Disegnare il sistema esperienziale

Questo concetto avevo già iniziato a spiegarlo prima per cui vado veloce per non ripetermi:

  • Capiamo i diversi tipi di clienti, definiamo una serie di segmenti target e individuiamo una serie di personas,
  • Ogni Personas in base a ceto propensione al digital, abitudini di consumo, età etc avrà delle preferenze commerciali,
  • Ogni Personas in base a ceto propensione al digital, abitudini di consumo, età etc sarà avezzo interagire con noi sfruttando un insieme di touchpoint
  • I touchpoints possono essere più o meno gli stessi in base alla sequenza, frequenza e modo di utilizzo possono essere radicalmente differenti e dare vita a dei percorsi d’acquisto / customer-journey radicalmente differenti,
  • prendiamo tutti i percorsi d’acquisto differenti, tutti i segmenti gestiti dal nostro CRM, tutti i media owned, earned o payed, e tutte le nostre diglital properties (siti, app, e-comemrce, mail etc …) mappiamoli in un grosso Sistema esperienziale in cui definiamo cosa deve succedere quando in base a quale interazione con gli altri fattori.
  • infine, in base a qusta moltitudine di rapporti causa-effetto capiamo i criteri di personalizzazione dell’esperienza per ogni cliente: non devo avere il sito, devo dare un sito interessante per ogni diverso cliente in ogni momento.

2) Definire il modello di attribuzione (evoluzione della deduplica)

Dopo che ci siamo fatti tutta questa potentissima pippa mentale del mondo ideale, dovremo:

  • renderci finalmente conto che tutto quello che credevamo era falso e renderci conto che i nostri strumenti di analisi fanno schifo,
  • farci la punta al cervello per cercare di capire cosa non andasse nei nostri piani di vendita,
  • provare nuove strade per vendere cercando di risalire a quale sia il reale rapporto causa-effetto tra tutti i touchpoint e quelli successivi, definendo un modello di attribuzione dell’apporto che ogni media ha dato al percorso di acquisizione del cliente, come vediamo nella bella immagine di testata,
  • capire quale tra i diversi touchpoint è irrinunciabile per la creazione del contatto e della vendita e senza il quale la vendita non sarebbe avvenuta, e, soprattutto,quale dei touchpoint mi ha abilitato l’intera relazione,
  • capire qual’è il ruolo giocato dai diversi canali e dai diversi device all’interno del customer-journey,
  • capire contenuto il target di cliente ha usato in quale momento e da questo ricostruire il ruolo giocato dal sito, dall’app da quel che è in quel momento specifico della fase di decisione d’acquisto.

Due esempi per aiutare a consolidare il concetto, il primo (che ho trovato nel sito dell’agenzia di un’amica) è un di customer-journey-across-media:

e il secondo (che riprendo da una presentazione di Tag-Commander che mi ha mandato Paolo che ringrazio) è un tipo di output in cui capiamo quanto importanti sono stati i diversi passaggi rispetto al risultato totale:

3) L’execution è tutto (velocitá, granularità e pertinenza)

– Aumentare la velocità e la precisione dell’execution delle campagne dalla disponibilità al prezzo al forward-url ed il copy degli annunci,
– Aumentare la qualità ed il dettaglio delle informazioni rilevate in modo da poter estrapolare informazioni commericali dalle interazioni con il cliente
dimensioni di analisi marketing automation digital
– Sfruttare la qualità delle informazioni ricevute per capire in che modo personalizzare la prossima campagna e diventare rilevanti e contestuali nell’esperienza proposta.

Buona modello di attribuzione a tutti.

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8 Comments

  1. baldo
    11 Giugno 2014
    Reply

    come al solito contenuto di grandissimo pregio!
    brau

  2. nicola
    22 Gennaio 2015
    Reply

    E’ un post molto interessante e completo. Mi viene da dire che non vale solo per l’e-commerce ma più in generale anche nella grande maggioranza dell’ online dove ci sia un orientamento alla conversione. La strategia che hai sintetizzato e in particolare i modelli di attribuzione sono un punto chiave però ancora e sempre troppo sottovalutati e ancor meno utilizzati

    • 26 Gennaio 2015
      Reply

      Concordo sul punto dei modelli di attribuzione, uno spunto: in base al mix tra Contenuti e Commerce nell’Experience (https://www.gasparotto.biz/2014/12/experience-driven-commerce/) possono cambiare anche gli obiettivi ed i KPI che definiscono l’attribuzione stessa.
      Ad esempio: su 10 clienti praticamente 9,5 di quelli che hanno implementato una strategia di story-telling non hanno adattato i settings dei loro analytics e quando le camapgne han fatto cilecca non son riusciti a capire come mai …

  3. Marco
    22 Aprile 2017
    Reply

    Finalmente qualcuno che combatte al mio fianco.

    Bell’articolo Federico

  4. Marco
    22 Aprile 2017
    Reply

    PS. L’articolo sull’attribuzione più che di Tag Commander è di Marco Frassinetti :-)

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